Robb Flynn - Voce e chitarra
Phil Demmel - Chitarra
Adam Duce - Basso
Dave McClain - Batteria
1. Clenching The Fists Of Dissent
2. Beautiful Mourning
3. Aesthetics Of Hate
4. Now I Lay Thee Down
5. Slanderous06. Halo
7. Wolves
8. A Farewell To Arms
The Blackening
A volte affrontare certi dischi, soprattutto in fase di recensione, è un'impresa che può presentare svariati pericoli, come se si stesse giocando ad un "campo minato" reale. Bisogna superare una serie infinita di difficoltà: magari non essere troppo legati ad una band o, viceversa, amarli troppo; cercare di capire cosa voglia dirci l'album; se si tratta di trovate commerciali oppure se ci si trova di fronte un lavoro ben progettato e dal sound nuovo ed intrigante; se veramente consigliarne l'acquisto oppure bocciarlo clamorosamente; ed infine giudicarlo obbiettivamente, tralasciando le proprie convinzioni ed i propri gusti.
Bene, se avete compreso questa serie di dilemmi amletici, siete ufficialmente entrati nell'universo di questa ultima fatica di Robb Flynn e dei suoi Machine Head, ovvero The Blackening. Probabilmente i più giovani (o quasi) collegheranno sicuramente la band all'immagine di quattro ragazzotti con spuntoni, capelli ingellati, tute acriliche firmate adidas, tempi nu-metal/crossover e album criticatissimi come The Burning Red o Supercharger. I meno giovani, coloro che hanno visto nascita, successo e morte del thrash metal americano e nello stesso tempo l'affermarsi di un nuovo modo di suonare il suddetto genere da parte di band come Pantera e Sepultura, senza ombra di dubbio ameranno alla follia l'ex ragazzo prodigio dei Vio-lence e soprattutto un disco incredibile come Burn My Eyes.
Ed essendo Flynn l'uomo delle svolte, capace di seguire con alterne fortune le varie mode (o se volete essere meno cattivi, le varie evoluzioni) del metal americano, dopo un primo decisivo passo all'indietro grazie a Through The Ashes Of Empires, con The Blackening si è letteralmente gettato nel passato, andando a riprendere quel suo thrash groovy d'annata, arrichendolo con aperture metal-core e ancora una volta interpretando al meglio le correnti che in questo momento vanno per la maggiore.
Fin qui non ci sarebbe nulla di strano, se non fosse che questo disco è un vero e proprio mattone: otto tracce per più di un'ora di durata, con due canzoni che arrivano ai dieci minuti, due che si assestano sui nove e le altre che non scendono sotto i cinque. Il tutto suonato perfettamente, con una produzione imponente ma anche volutamente più cartavetrata del precedente lavoro, ed un mood generale oscuro e profondo. E all'interno, un alternarsi di proposte e di interpretazioni a volte un pò troppo pompose e ridondanti.
E' quasi difficile descrivere le canzoni stesse, che per la durata elevata tendono a confondersi un pò l'una con l'altra. Se però Clenching The Fists Of Dissident è la classica killer-track in cui Flynn sfodera tutte le sue armi (quasi come nel singolo Imperium di Through the Ashes of Empires), passando da riff intricati accompagnati dalla sua voce sporca e cattiva, ad altri più di ampio respiro e carichi di groove, senza mancare di pezzi in clean e che ricordano addirittura band come Killswitch Engage o Bleeding Through, Now I Lay Thee Down sembra uscire perfino da un disco degli A Perfect Circle o dei Deftones, mantenendo comunque una buona carica. Ci sono pezzi che rientrano nello stile della band alla perfezione come Aesthetics Of Hate, Slanderous oppure Wolves, tra l'altro ricchi di un mood molto melodico. Mentre particolarmente oscure ed in sintonia col titolo dell'album sono le lunghissime Halo (anche qui la vena metal-core fa capolino più volte) e A Farewell To Arms, traccia conclusiva che col suo continuo modificarsi e riempirsi di potenza si candida come la migliore del lotto.
Questo disco sicuramente dividerà il pubblico: gli scogli da superare sono molti, partendo dalla lunghezza veramente esagerata, per arrivare alla voce di Flynn che può piacere, ma comunque a volte sembra un pò distante dal tappeto sonoro che le sta sotto, facendoci anche venire un pò di puzza sotto il naso per certe scelte clean non propriamente eccezionali. Se però si riesce ad ascoltarlo più volte, entrando sempre più a fondo nella composizione delle canzoni, si scopre che c'è veramente del buono in The Blackening.
Difficile ascolto a causa di una band e di un personaggio (Flynn) da sempre capaci di spaccare in due critica e fan. Un po' troppo esasperato per gli amanti del thrash più convenzionale, forse più adatto a chi da sempre segue i Machine Head ed apprezza le loro soluzioni così varie e distanti le une dalle altre.