- Tommaso Pela - voce, chitarra, synth
- David Cavalloro - chitarra, synth
- Marco Giaccani - basso, theremin, voce
- Michele Alessandrini - batteria
1. Sounds From A Vanishing Era
2. 2009 Crusade
3. They Make Money (We Make Noise)
4. God Trip
5. Space Ship
6. Sounds From A New Era
7. Changing Gear
8. The Charmeleon
The Sound Of The Vanishing Era
Introdotto da una copertina bizzarra e carica di reminescenze psichedeliche (realizzata dall’artista formiano Rocco Lombardi e ritraente il teorico anarchico Errico Malatesta), The Sound Of The Vanishing Era rappresenta il secondo capitolo di studio dei quartetto riunito sotto il moniker di Lush Rimbaud, che ritorna a distanza di due anni e mezzo dall’esordio Action From The Basement.
Ipnotico e graffiante, il disco costituisce un’ambiziosa sperimentazione a cavallo fra i lidi meno convenzionali del Punk e la follia Psych/Kraut che scava nella dimensione degli anni Sessanta/Settanta; l’esplosiva commistione tra l’acidità delle chitarre, la carica travolgente delle sezioni ritmiche e gli effetti cacofonici di stampo Noise risulta un elemento raro da scovare all’interno dell’ormai florido panorama indipendente italiano e per questo apre nuove prospettive per una formazione giovane ma ricca di interessanti soluzioni stilistiche.
Quella dei Lush Rimbaud può essere considerata una sorta di riscoperta dell’avanguardia degli anni Sessanta, mediata da una spiccata sensibilità Post Punk e Noise memore delle rispettive scene inglese e americana: la testimonianze più vive di questo peculiare registro sono conferite dalla titletrack, che apre l’album con i suoi toni densi di follia, e dal singolo 2009 Crusade, intriso dell’anima marcia del Punk più tagliente e anticonformista.
Sebbene They Make Money (We Make Noise) non risulti all’altezza delle precedenti tracce, a causa dello scontato binomio interpretazione vocale-andamento strumentale vorticoso, l’album garantisce un momento di elevata freschezza timbrica con God Trip, frammento incastonato fra tradizioni musicali opposte che si conciliano per l’occasione. Quest’ultimo episodio ritrae al meglio l’universo Lush Rimbaud, dove non esiste spazio per l’introspezione posata ma è il crudo istinto a regnare sovrano.
Ritmi di stampo Electro e destrutturazione del concetto di canzone sono invece gli aspetti centrali di un esperimento come Space Ship, che porta all’esasperazione la carica interna all’album.
L’inquietudine che permea poi Sounds From A New Era ripercorre da vicino i meandri più spettrali della scuola di Modern English e This Heat poiché voci narranti emergono da un substrato colmo di effetti, divincolandosi all’interno di quello che appare sempre più come un incubo lontano dagli stilemi del panorama indipendente nazionale.
Non manca neppure un tocco di malata Psichedelia mista Sludge che rievoca il tormento strumentale dei Morkobot in un brano come Changin Gear, prima di lasciare a The Charmeleon il compito di concludere l’opera con la sua indole soffocante e non priva di una patina di disagio.
In definitiva il four-piece di Ancona riesce a sorprendere per una versatilità stilistica e una padronanza tecnica comuni a poche formazioni del sottobosco sperimentale underground. Nonostante alcune sezioni di The Sound Of The Vanishing Era evidenzino ancora la non completa maturità dei Lush Rimbaud, si devono premiare gli sforzi profusi da questa realtà emergente, i cui margini di miglioramento sono ancora ampi e lasciano percepire un futuro ricco di soddisfazioni e di nuovi traguardi.