- Patrick Wolf - voce, musiche, viola, piano, chitarra, ukulele
Guests:
- Thomas Block - armonica, onde martenot
- Katie Skylarkin - voce
- Blinda Sykes - voce
- Serafina Steer - arpa
- Thomas White - chitarra
- Fiona Brice - arrangiamenti orchestra
1. The City
2. House
3. Bermondsey Street
4. The Future
5. Armistice
6. William
7. Time of My Life
8. The Days
9. Slow Motion
10. Together
11. The Falcons
Lupercalia
Per il proprio atteso ritorno sulle scene, Patrick Wolf scava negli antri pastorali più remoti e ancestrali della storia romana, continuando ad alimentare il proprio bizzarro immaginario di ululati agrodolci e lupi dal cuore fragile. I lupercali (in latino lupercalia) erano festività (miste a riti di purificazione) in onore di Luperco, divinità protettrice del bestiame e del raccolto contro la minaccia dei lupi; a partire da questa premessa concettuale, il desiderio di assistere ad un incantesimo folk/classical di natura ancora più ancestrale e misteriosa del primo, sotterraneo e cameristico Wind In the Wires è dannatamente forte. Eppure, ahimè, Lupercalia sviluppa questa rievocazione storica dal lato dell'uomo e non, come ci si aspettava, da quello del lupo: a vigere altro non è se non la paura immacolata di quella bestia di cui Wolf, cognome a parte, si era fatto cantore e protettore.
Nel nuovo disco, del passato di Wolf non c’è minima traccia, dei precedenti gioielli neanche una minima rievocazione, nemmeno un fragile richiamo. Lupercalia è quello che in molti si sarebbero aspettati da Wolf e, al contempo, tutto ciò che speravano non accadesse: il suo è un approccio sfacciato ad un cantautorato ormai difficile da chiamare tale e ad una sfera pop edulcorata, superprodotta, ballabile ed ariosa. I vecchi panni da menestrello decadente ed enigmatico Wolf li ha già svestiti da qualche anno: ora è tempo di smoking bianchi, fazzoletti rossi nel taschino e rose sulle orecchie. La camicia grigia che un tempo svolazzava fuori dai pantaloni è adesso prepotentemente richiamata al suo interno; il corpo di Wolf (così fragile e scavato da renderlo perfetto come sexy-icon da decadentismo moderno) non accenna minimamente a mostrarsi e si nasconde dietro un’aura di inspiegabile castità, esteriore e concettuale.
Completamente privo dello spleen sottile ed enigmatico dei primi due dischi (a tratti percepibile anche in The Bachelor), Lupercaliasi abbandona ad un pop orchestrale e sinfonico come non mai vuoto, nonostante il luminoso abito indossato ne copra in apparenza pecche e lacune. Superato il primo impatto di bianco accecante, il nuovo disco di Wolf si mostra in tutta la sua debolezza: le canzoni sono in gran parte simbiosi di sentimentalismi melodrammatici e banalità melodiche (i primi tre, irritanti episodi The City, House, Bermondsey Street, l’elettronica mista a synth pop translucido e maledettamente fuori luogo di Together), le trame orchestrali come non mai pompose e artificiali, nonostante tutto venga composto, arrangiato e suonato realmente. I territori pop (di cui Wolf ci aveva donato splendide rivisitazioni nei precedenti dischi) sono qui ridotti a melodismi easylistening e sottofondi da colonna sonora di una qualche commedia d’amore pseudo-hollywoodiana. The Future sembra in qualche modo poter risvegliare la più profonda tensione emotiva di Wolf ma non vi riesce per nulla, lasciando alla successiva Armistice (strumentalmente e atmosfericamente più legata ai toni sinuosi e malinconici di The Bachelor) e alla buona Time of My Life l’onere di risollevare le sorti di un disco fallito ancor prima di averne varcato la prima metà. Il resto di Lupercalia non fa altro che approfondire – senza troppi patemi d’animo e con molte velleità da classifica – l’assetto strumentale prima introdotto: la tensione emotiva del passato è ormai svanita, seppellita in profondità remote quasi con terrore, con la paura che possa riemergere e corrompere tutta questa grazia e questa ritrovata serenità.
Ciò che più ferisce è il fatto che da Patrick Wolf, dopo l'ottimo The Bachelor, ci si aspettava un progredire colto, un'innovazione intelligente e ben plasmata di quel suo linguaggio affascinante e ingannevole che, solo qualche anno fa, ne aveva giustificato l'esplosione commerciale e gli apprezzamenti della critica. Da lupo aveva colpito tutti col suo fascino dolente, da uomo sarà solo in grado di cullare i cuori puri e immacolati. Inutile dire che lo preferivamo da bestia, insicuro e fragile ma anche poeta fiero e affamato.