- Chester Bennington - voce
- Mike Shinoda - voce, chitarra, tastiera, sample
- Brad Nelson - chitarra
- Dave "Phoenix" Farrell - basso
- Joseph Hahn - samples
- Rob Bourdon - batteria
1. Foreword
2. Don't Stay
3. Somewhere I Belong
4. Lying From You
5. Hit the Floor
6. Easier to Run
7. Faint
8. Figure 9
9. Breaking the Habit
1. From the Inside
11. Nobody's Listening
12. Session
13. Numb
Meteora
A distanza di due anni dall'esordio, i Linkin Park tornano sulle scene nel 2003 con il loro secondo atteso full-lenght, Meteora. Nel mezzo, venne rilasciato un disco di remix (Reanimation, fra l'altro neanche troppo riuscito) dei loro brani, una cosa totalmente inutile per motivi anapodittici: ha senso il produrre una raccolta del genere per un gruppo con appena un album all'attivo? Domanda retorica.
Comunque, per ringraziare nel migliore dei modi il supporto che i molti mila fan del gruppo diedero loro, i californiani decisero di fare tutti contenti prendendo ciò che era più apprezzato da Hybrid Theory e mettendolo come in un frullatore, attivandolo. In parole povere, hanno riciclato riff distorti, urla vissute ad esprimere (in teoria) rabbia, canto melodico e rappato (ma su testi banalmente politically correct) per tingere il tutto di sensibilità e sofferenza interiore (teenageriale), e hanno rimescolato un po' il tutto, non solo per permettere ai sostenitori di usufruire di un disco perfettamente lineare e coerente con i canoni richiesti, ma soprattutto per creare un'opera vitale, alternativa e di grande originalità, in cui tutti, grandi e piccini, potessero rispecchiarsi, avvertendo di come il mood generale dell'album riflettesse l'animo un po' ribelle-un po' sensibile-un po' introspettivo-un po' cool che i Linkin hanno e che tutti noi, dopo aver sentito le loro distorsioni, improvvisamente scopriamo di avere ugualmente.
In poche parole, la fotocopia sbiadita di Hybrid Theory.
Qualcuno però intuì che sotto-sotto qualcosa forse non andava come preannunciato, e iniziarono a sorgere dubbi sull'effettivo valore della band.
Complessivamente è un lavoro che non si discosta dal predecessore, anzi, addirittura ne ricicla parecchi elementi e li semplifica e rimescola per ottenere una serie di canzoni fortemente orecchiabili (giusto con una produzione più pulita e potente), ma che iniziano ad apparire sempre più piatte, prevedibili e ripetitive fin da quasi subito a causa della scarisità di idee che porta con sè il gruppo e della plasticosità della proposta che è divenuta ormai un finto "rifugio musicale" in cui sfogare il cosiddetto "disagio giovanile" (che, in questa versione, diventa una delle più grosse montature di sempre, artisticamente offensiva verso quei gruppi come Nirvana e Korn che realmente avevano qualcosa da esprimere).
Riutilizzando spunti impoveriti precedenti (i peggiori) per tirarne fuori del nuovo materiale (in peggio) i Linkin Park compiono così con il loro album meno riuscito un grosso passo indietro rispetto al debut, nettamente migliore.
Appaiono banali, privi di un briciolo di idea da concretizzare, come se riscaldassero gli avanzi di una minestra di successo per trarne ulteriori profitto. Si direbbe quasi che gli manchino le capacità di rivitalizzare la loro proposta, ma in realtà sono i produttori dietro le quinte a fare da zavorra. Il fatto che le canzoni durano tutte fra i due e i tre minuti (poche quelle che li superano) ne sembra una conferma; non stiamo parlando di un album punk dove la brevità anche maggiore ha uno scopo e un suo significato, è palese che con Meteora abbiano tentato di compensare la carenza idee con brani di rapidissima assimilazione per soddisfare la massa degli ammiratori, ritornelli melodici che però mancano di mordente e di carisma, arrangiamenti ruffiani, riff sempre più appiattiti e simili fra loro specialmente nei chords distorti che ormai iniziano a stancare: la definizione migliore per questi chords nel modo in cui i Linkin Park li utilizzano in Meteora è, praticamente, "pecette", o anche dei semplici riempitivi, inseriti ad hoc per coprire i vuoti nella musica e stupire ragazzini.
Nient'altro che delle pallide copie mal riuscite dei riff di gruppi come i Papa Roach da cui i Linkin Park hanno attinto fortemente e da cui sembra non abbiano (o non ne siano stati in grado) appreso appieno la lezione.
Fra le delusioni in ambito nu metal nell'inizio del nuovo millennio si può dire che Meteora sia l'album peggiore. Sempre che sia davvero legittimo accostare un disco del genere ad altri ottimi dischi, sinceri e originali, venuti fuori nel decennio precedente da gruppi ormai distanti e per qualità e per sonorità e per inventiva.
Dopo gli inutili tredici secondi di Foreword viene la prima canzone, Don't Stay, che fin da subito lascia presagire i punti cardinali su cui ruoterà il disco, cioè piattezza e ripetitività a iosa. Il primo singolo viene subito dopo. L'intro di Somewhere I Belong è gradevole, ma il resto si sviluppa giocando sul contrasto fra parti malinconiche e il ritornello che dovrebbe risultare insieme più cattivo e lo stesso sentimentale, ma che in realtà suonano di melensità fine a sè stessa: la voce di Bennington è carente e non esprime nulla, e i chitarroni distorti di sottofondo ormai non incantano più nessuno. Lying from You ne è un po' la continuazione, proponendo le stesse caratteristiche, con ancora meno incisione. Hit the Floor sembra sollevarsi leggermente dalla media con qualche atmosfera azzeccata, ma un riff insulso e le solite vocals vuote non lasciano molto scampo. Easier to Run è una ballad e risulta anche carina, a parte quella solita mielosità che sa troppo di falso e preconfezionato. Il giro di tastiera di Faint verrà in seguito rubato da Britney Spears per il suo futuro singolo Toxic, mentre il resto del brano si desta relativamente dal torpore, senza svegliarsi abbastanza. Arrivati a questo punto diventa difficile continuare a descrivere le canzoni, perché iniziano ad assomigliarsi troppo per cercare di utilizzare aggettivi diversi. Figure 09 va pure oltre, auto-riciclando nel mezzo della traccia il riff dell'intermezzo di One Step Closer. Abbiamo ora il brano più "originale" di tutti, Breaking the Habit: le virgolette sono d'obbligo, in quanto non fa altro che togliere le chitarre distorte. Il risultato non è malaccio, ma una qualsiasi band teen saprebbe rifarlo e auto-ricopiarlo per tutto un album. From the Inside in ogni caso torna sulla "retta via": rap monotono per fare emotività spicciola, canto malinconico che (in teoria) si indurisce nel ritornello, bei chords distorti per rendere il tutto dolce ma cattivo. Bastano gli urlacci nello spazio dell'esiguo "assolo", che Bennington non sa fare, per confermare ancora una volta come la mascherata non si regga in piedi e i Linkin Park sfiorino i valori negativi in credibilità, giusto il brevissimo (e ripetuto in continuo) giro di tastiera può essere apprezzato. Discreta è Nobody's Listening, praticamente hip hop senza, nuovamente, le chitarre, anche se il confronto con un qualsiasi vero nome del mondo hip hop farebbe uscire i Linkin Park sconfitti in maniera completa. Dello stesso avviso è Session, che però ha una qualità in più: è strumentale. Sul serio, un intermezzo che si salva rispetto al resto del disco proprio perché i due vocalist, privi di ispirazione e capacità espressive, finalmente stanno zitti. L'ultimo singolo, Numb, è uno stanco rigirare sulla solita solfa, che riesce soltanto a proporre un chorus ed un giro di tastiera più ascoltabili del resto dell'album. Peccato che arrivati a questo punto cresce a dismisura l'idea che manchi qualcosa.
Una volta che la musica cessa, viene da chiedersi "beh?". La risposta viene subito dopo: "boh". Non si percepisce affatto che l'album sia finito (nonostante tutte le canzoni possano formare un continuum omogeneo), quanto più che quel che si è ascoltato era un'accozzaglia di distorsioni tutte uguali e ritornelli scontati raschiati dal fondo del barile e messi in una raccolta tanto perché non si aveva meglio da fare.
Viene un po' di rammarico a vedere come basti così poco per incantare milioni di spettatori e raggiungere un considerevole successo planetario, quando altri gruppi nu metal molto più creativi, sentiti e ispirati avrebbero meritato una maggiore considerazione, ma nei fatti non sono riusciti ad ottenerla, fino a rimanere quasi "soffocati" dal successo dei Linkin che ha tolto molti spiragli da cui respirare.
In ogni caso, l'album vende tantissimo, ma sempre la metà del predecessore, perché lo stesso pubblico inizia a stancarsi ed il nu metal, gonfiato, spogliato delle sue angoscie più nevrotiche e annacquato fino a diventare un impoverito trend per ragazzini soprattutto da gruppi piatti e banali come i Linkin Park (e dai loro cloni, dai loro ridicoli emulatori e dalle case discografiche impregnate a spremere il più possibile questi fenomeni fin quando possibile), è ormai prossimo dall'implodere su sè stesso (ma finito questo di trend arriveranno quello metalcore e quello emo).
Sono pochi i dischi nel settore nu metal & affini che cercano di ridare vitalità ed ispirazione ad un genere altrimenti morente, su tutti i Passenger e i Taproot.
Si consiglia Meteora solo ai fan di Hybrid Theory che hanno straveduto per il disco, in quanto troveranno un'ulteriore dose di ciò che hanno apprezzato dei Linkin Park, con l'avvertenza che fra qualche anno potrebbero iniziare a non dire più altrettanto. Altrimenti, c'è in giro crossover, nu metal, hip hop o quant'altro vogliate di gran lunga migliore.
Aggiornamento: alla luce delle successive uscite discografiche targate Linkin Park, non si può non rivalutare in parte questo lavoro, che suona almeno più a fuoco, coerente con sè stesso e concreto.