- Shnur - voce
- Dens - batteria
- Kaschey - batteria
- Ded - basso
- Pianist - tastiera
- Kostjan - chitarra
- Geisha - sax
- Leha - sax baritono
- Romych - tromba
- Andromedych - tuba
- Valdik - trombone
- Sevych - maracas
- Miksher - percussioni
- Puzo - percussioni
- Dens - programmazione
1. Lenin/grad (02:47)
2. Nebesnyi Tennis (03:29)
3. Na Ne (02:20)
4. Sut’ (02:26)
5. FC (02:11)
6. Neft’ (01:45)
7. Kto Kogo (02:46)
8. K@k@/in (02:11)
9. Svoboda (03:11)
10. Flag (01:51)
11. Kredit (03:21)
12. ’Na Hui’ Rock/n/Roll (02:44)
13. Mchashyisia Skvoz Grozu (02:38)
14. Bagdad (02:57)
15. Gitara (01:42)
16. Pesnya Starogo Fanata (02:40)
Bonus tracks:
17. Super Good (02:04)
18. Gelendzhik (03:08)
Bonus Cd:
1. Glavnoe Rebyata, Sertsem Ne Staret’ (02:23)
2. Kranyi Moskvich (04:13)
3. Zhopa (04:19)
4. Kak Zhit’ (03:03)
5. Mama, Nalivai! (02:21)
6. Nozhik (02:08)
7. Otmychka (02:57)
8. Super Good (02:06)
9. Tufelki (04:36)
10. Yablochko (02:38)
11. Kopeika (02:41)
Hleb
L’apparentemente statica scena underground russa offre finalmente qualcosa in grado di varcare i confini nazionali e colpire gli ascoltatori dell’intera Europa: si tratta dei Leningrad, che con Hleb propongono uno dei loro migliori studio album.
L’indole dei quindici componenti del gruppo si può intuire già dal fatto che Yuri Lushkov, sindaco di Mosca, abbia ad essi proibito di esibirsi entro i confini della città. Proprio grazie all’inferno di musica, caos, scandalo che essa crea durante gli show dal vivo, la band si è resa celebre fino nei territori più occidentali del Vecchio Continente.
Le canzoni dei Leningrad si basano tutte su tematiche di grande impatto sociale e rendono il gruppo scomodo e fastidioso per chi, dall’alto di una posizione vantaggiosa, si rifiuta di guardare la tragica realtà circostante. Per trasmettere il proprio messaggio, la band segue la via dello Ska, spesso contaminato da generi più aggressivi ed accostato a vecchi canti dei carcerati russi.
L’adrenalina sale già alle prime note di Lenin/grad, che lasciano presagire un brano grezzo ed arrabbiato. La voce di Shnur è ruvida, rauca, ed il singer non si cura certo di risultare piacevole per le orecchie più raffinate. Ha ben poco di melodico questa opener, che si prefigge di chiarire immediatamente la cruda essenza del disco. L’atmosfera sembra cambiare nella seconda traccia, Nebesnyi Tennis, introdotta da un botta e risposta di pacati e malinconici arpeggi di chitarra, ma le parole, ora quasi sussurrate, lasciano trasparire l’odio ed il disprezzo provati dal vocalist. Il suono duro e gutturale della lingua russa contribuisce a rendere spietato il parlare di Shnur, il quale, in una sarcastica lode alla superstar del tennis Maria Sharapova, coglie l’occasione per denunciare l’enorme divario che intercorre tra ricchi e poveri nella Russia odierna.
Di più difficile ascolto risultano invece, paradossalmente, i brani Ska come Na Ne e Kto Kogo: veloce ritmo in levare e sezione fiati in primo piano, eppure qualcosa non convince completamente. Colpevole è forse la particolarità del timbro vocale del cantante ed il suo urlare, che suona a tratti stonato. Alla consueta spensieratezza e semplicità del genere si contrappongono in Na Ne strutture melodiche complesse, che portano inevitabilmente ad un senso di caos e disarmonia. Uno dei pezzi meglio riusciti di Hleb è senza dubbio Svoboda, nonostante le note iniziali di quest’ultima risultino un po’ troppo simili a quelle della precedente Nebesnyi Tennis. Cori nostalgici e melodie malinconiche portano l’ascoltatore tra i paesaggi lunari della steppa russa, in una terra dove utopie e sogni rischiano di venire spazzati via dalla gelida realtà. Kredit: al centro della lirica le contraddizioni di una Russia ormai invasa dallo sfrenato capitalismo post-sovietico. L’introduzione del pezzo, scritto questa volta da Stanislav Baretzkyi, riprende nuovamente l’idea iniziale di Svoboda e Nebesnyi Tennis. A questo punto sorge spontanea la domanda: ci troviamo di fronte all’intento di creare qualcosa di diverso partendo da uno stesso presupposto o abbiamo a che fare con la scarsa originalità di menti poco creative? Qualunque sia la risposta, sta di fatto che nemmeno Kredit delude le aspettative: lo sviluppo della canzone è convincente e non ricorre ad espedienti già noti. Vengono messe in luce le influenze Rap, nonostante le quali Kredit può seguire la tradizione dei tristi canti sovietici, eredità di autori quali Arkady Severnyi. Singolare la seconda voce che, alla fine della pezzo, trasforma il canto in un verso disperato, un grido soffocato che termina in un patetico growling.
Degna di nota è anche Mchashyisya Skvoz Grozy, interamente impostata sul suono del basso, che richiama gli stilemi del Dub e con essi una cultura tanto lontana quanto improbabile per una band come i Leningrad. Lascia un po’ d’amaro in bocca l’ultima bonus track del disco, Gelenzhik: l’andamento movimentato, arricchito da improvvisazioni tastieristiche e da cori di acute voci femminili, mal si accosta alle atmosfere fin’ora incontrate. Se i brani precedenti evocavano immense distese incantate, Gelenzhik non può che far ripensare alle decine di polli spennati che nell’orribile bonus video ballano e prendono il sole su spiagge esotiche.
BONUS CD:
Sergey Shnurov - Vtoroi Magadanskji
Acquistando l’edizione limitata di Hleb si avrà anche questo secondo cd bonus firmato Shnur: undici tracce all’insegna della musica tradizionale russa, in cui il cantante si diletta a preservare l’eredità delle melodie nate intorno agli anni ’30. In veste di solista il vocalist propone quindi diversi brani inediti, nei quali ai melanconici ma decisi suoni esteuropei si aggiunge un’aggressività nuova, che non accetta compromessi e non si presta a critiche puntigliose.
Trombe e sax sostituiscono la proverbiale fisarmonica e stonati cori di voci maschili sembrano sprigionare l’odore della vodka; il folklore e l’amara euforia prendono il sopravvento sulla musicalità e sulla tecnica: ne deriva un’anarchia di suoni che si fondono nel trambusto di un’osteria.