- Rober Plant - voce, armonica
- Jimmy Page - chitarra
- John Paul Jones - basso, organo
- John Bonham - batteria
1. Whole Lotta Love
2. What Is And What Is Should Never Be
3. The Lemon Song
4. Thank You
5. Heartbreaker
6. Living Loving Maid (She's Just A Woman)
7. Ramble On
8. Mody Dick
9. Bring It On Home
Led Zeppelin II
Dopo la pubblicazione del folgorante album d’esordio, chiunque si sarebbe aspettato una conferma da una band appena nata come i Led Zeppelin. Il seguito arriva dopo neanche nove mesi dalla pubblicazione del debut, nell’ottobre del 1969. I Led Zeppelin, avevano intrapreso in quell’anno estenuanti tourneè che li avevano portati in giro per il mondo, e proprio on the road avevano composto i brani di Led Zeppelin II. E’ proprio il titolo dell’album che fa riflettere, un numero accanto al moniker che fa presagire come i Led Zeppelin badino poco all’immagine e alla produzione dei dischi, puntando di più sulla musica.
L’opener è uno tra i pezzi Hard Rock più famosi di sempre, e uno tra i veri e propri inni della band inglese, Whole Lotta Love. La canzone si apre con un riff molto semplice, che si ripete in loop per tutto il pezzo, ma che per la sua bellezza è scritto a caratteri cubitali nelle pagine del libro del rock.
Non un pezzo sensazionale per difficoltà, ma capace di prendere l’ascoltatore in maniera incredibile, con un Plant che sfoggia una prestazione vocale sopra le righe. A metà pezzo la canzone si blocca, buttandosi in una lunga parte psichedelica, con rumori distorti in lontananza, mentre Bonham fa suonare i cimbali e Page suona la chitarra con un archetto da violino. I versi, gli urli e i gemiti di Plant sono ormai celebri, quasi quanto l’assolo che segue, corto ma capace di farci tornare con i piedi per terra, circondati da un’aria densa di Hard Rock.
A seguire What Is And What Should Never Be, pezzo particolarissimo, che può sembrare dolce e tranquillo durante la strofa, accompagnata dal basso cullante di Jones, ma che poi esplode nel ritornello, mostrandoci (come se ce ne fosse ancora bisogno) la grande versatilità vocale di Plant.
The Lemon Song si presenta come la canzone più lunga dell’album, ma non per questo come la più noiosa o prolissa, tutt’altro. Il riff portante è uno tra i più famosi di Page, ed è sorretto da una sezione ritmica frizzante, con un Jones che fa letteralmente i numeri, e da Bonham che non si limita a semplice accompagnatore. Da segnalare l’assolo di Page, uno tra i migliori del disco. Come molte canzoni dei Led Zeppelin, la parte centrale del pezzo è rallentata, e The Lemon Song è un esempio calzante. Plant ci offre grandi vocalizzi mentre il basso di Jones fa da controaltare, per poi sfociare in un finale in crescendo fantastico.
La quarta traccia è la ballad dell’album, la dolcissima Thank You. Gli accordi iniziali di chitarra ci introducono ad un delicato sussurrare di parole ad opera di Plant, che sopra un tappetto di tastiere e organo evoca atmosfere oniriche condite con dei fraseggi tipicamente folk. In questa canzone si fondono perfettamente il gran gusto delle composizioni dei Led Zeppelin, per quanto riguarda le lyric, e la dolcezza che il gruppo riesce a far emergere dai solchi dei suoi dischi.
Si torna ad un Hard Rock più canonico con Heartbreaker, pezzo blues arricchito da uno dai riff più famosi di Jimmy Page, acido e distorto. Mentre Jones fa suonare il suo basso divinamente con passaggi sofisticatissimi, Plant urla al microfono come un forsennato. Ma è Page l’elemento più in vista nel pezzo, sfoggiando un assolo da urlo, denso di groove e psichedelia. Il pezzo si blocca di colpo e iniza Living Loving Maid (She’s Just A Woman), forse il più pezzo più semplice dell’album, nonché il più corto, ma non per questo il più scontato. Anzi, la canzone è fresca e divertentissima all’ascolto. Ramble On si apre con Page e Plant che cuciono una melodia molto orecchiabile e densa di sentimento. Arriva il ritornello e arrivano anche le distorsioni, con un Bonham e Jones in gran spolvero. Tali particolarità lo rendono una tra le chicche del disco. Un riff assassino (che sa tanto di Cream), ci catapulta dentro Moby Dick, altra canzone simbolo del disco. Dopo un paio di giri strumentali con Page e Jones che duettano alla perfezione ecco che Bonham si getta in un’ interminabile assolo di batteria. Qui il musicista si conferma uno tra i migliori del periodo, riuscendo a fare un larghissimo uso di tamburi e cassa, il tutto con una pulizia impeccabile.
Da notare che in alcuni punti dell’assolo John suona senza bacchette, perquotendo i pezzi della sua batteria solo ed esclusivamente con le mani nude.
Un'armonica in lontananza è l’inizio di Bring It On Home, il pezzo più Blues di tutto il platter. Si sente subito un Plant in voce distorta, in veste molto psichedilica, ma il pezzo ci riserva una parte centrale elettrica, con un gran riffing del solito Page, per poi tornare allo stile inizale e svanire nel basso di Jones e nelle note di un armonica sognante.
Non si può non dire che quest’album sia un capolavoro. Prima di tutto segna un notevole passo avanti rispetto al comunque grandissimo esordio I, sia a livello di songwriting che come struttura dei pezzi, inoltre confema le grande potenzialità della band. In definitiva è l’album che sancisce la nascita dell’Hard Rock, separandolo dalla componente Blues degli esordi e mostrando di cosa siano capaci i Led Zeppelin.