- Tom - Basso, Voce
- Hallvard W. Hagen - Chitarre, Tastiere
- Endre - Batteria
1. Ars Manifestia (05:15)
2. Forbannet Vaere Jorden Jeg Går På (05:51)
3. Stupet (07:02)
4. Svartedal (03:41)
5. Min Lekam Er Meg Blott en Byrde (09:58)
6. Vettenetter (06:03)
For Kunsten Maa Vi Evig Vike
Il progetto Kvist, con quello che poi si rivelerà essere l’unico suo album, dà luce nel 1995 ad uno dei migliori capitoli del Black norvegese, anche se poi verrà spesso sottovalutato rispetto ad altri dischi usciti nello stesso periodo. Infatti, nonostante il livello proposto non sia inferiore a gruppi black ben più noti, For Kunsten Maa Vi Evig Vike non viene quasi mai preso come un album di riferimento per il genere, quando invece contiene delle composizioni di rara bellezza. Le sonorità offerte dalle sei tracce del disco sono in parte accostabili a quelle dei Satyricon (in particolare quelli di Nemesis Divina), ma presentano comunque una discreta originalità, oltre un grande potere evocativo.
La produzione si differenzia notevolmente dalle uscite di quel periodo, apparendo molto meno grezza da quelle di gruppi come i Darkthrone, ma non perde nulla in potenza e aggressività, e, soprattutto, in quanto ad atmosfere create, vero punto forte del disco; realizzazione di atmosfere sicuramente aiutata dall’eccezionale uso delle tastiere, meno presenti rispetto ad album come In The Nightside Eclipse, ma che appaiono spesso ad accompagnare gli splendidi riff, come evidenziato nella stupenda opener Ars Manifestia, forse il miglior brano del disco. Ottima anche la prova vocale, uno scream cupo e maligno, ma sono le parti di tastiera e di chitarra a coprire il ruolo di protagonista. Il brano si assesta su tempi molto veloci, ma non di rado arrivano rallentamenti molto efficaci, che rendono più varia la composizione. È un continuo susseguirsi di magnifici riff; davvero difficile scegliere quali siano i momenti migliori dell’opener, poichè tutti gli stacchi sono di altissima qualità.
Bellissima anche la seconda Forbannet Vaere Jorden Jeg Går På, caratterizzata da una partenza a ritmi molto veloci, per poi assestarsi su velocità simili alla precedente traccia; non mancano nemmeno qui comunque le variazioni in tema, con diverse accelerazioni, di stampo classicamente black, e decelerazioni, quasi sempre sostenute dalle tastiere. La conclusione della canzone riprende le melodie iniziali, per essere poi seguita da Stupet, che, insieme all’opener, è la traccia meglio riuscita dell’intero album. Un riff memorabile fa partire il brano, che poi risulterà essere come uno dei più simili al gruppo di Satyr e Frost. Eccellente l’uso delle tastiere, in grado di arricchire notevolmente il suono, rendendolo più cupo ed epico. Anche in questo caso, anzi, forse maggiormente rispetto ai primi due brani, ci sono molti pregevoli cambi di tempo e melodia; non c’è un passaggio che non sia degno di nota.
La successiva Svartedal è un altro gran pezzo, ed è quello più breve dei sei contenuti nel disco, l’unico sotto i 4 minuti. Lo stile non cambia, con ottimi riff, che ogni tanto vedono il supporto delle tastiere, ritmi abbastanza veloci, ma non eccessivamente, e scream aggressivo sempre presente; non trova mai spazio, infatti, la voce pulita. Conclusa Svartedal si passa a Min Lekam Er Meg Blott En Byrde, il capitolo più lungo dell’album, intorno ai 10 minuti. Si tratta però di un lieve calo nella qualità compositiva proposta, più che altro perché alla lunga l’ascolto diventa leggermente noioso. Splendida tuttavia la parte centrale del brano, con le tastiere a formare un suono epico e maestoso; non al livello di quanto sentito finora invece le melodie composte dalle chitarre, che non riescono a dare quel tocco di classe che si sentiva nelle precedenti tracce. L’ultima, Vettenetter, non è molto migliore della precedente, risultando forse un po’ più ispirata nei riff, ma non quanto le tracce iniziali. Da segnalare però l’eccellente chiusura della canzone (e del disco), molto suggestiva grazie alle tastiere.
In definitiva, For Kunsten Maa Vi Evig Vike si può tranquillamente considerare come uno dei capolavori del genere, ed è in grado di piacere sia agli amanti del black più grezzo che a quelli che invece preferiscono sonorità maggiormente melodiche, con anche inserti sinfonici. È un disco sicuramente più vario rispetto agli stilemi black, con diversi cambiamenti nella struttura compositiva, ma non varia molto nelle sonorità proposte; ciò nonostante risulta essere tutt’altro che noioso, forse anche per la breve durata del disco, ma soprattutto per la grande musica proposta, di livello molto alto per il genere. Consigliato quindi a chiunque si voglia avvicinare al black, ma anche a tutti quelli che già lo conoscono, e che non hanno mai preso in considerazione questo piccolo gioiello.