- Jonathan Davis - voce, cornamuse, batteria, sampling
- Head - chitarre, cori
- Munky - chitarre
- Fieldy - basso, sampling
- David Silveria - batteria
1. Dead (01:12)
2. Falling Away from Me (04:30)
3. Trash (03:27)
4. 4 U (01:42)
5. Beg for Me (03:53)
6. Make Me Bad (03:55)
7. It's Gonna Go Away (01:30)
8. Wake Up (04:07)
9. Am I Going Crazy (00:59)
10. Hey Daddy (03:44)
11. Somebody Someone (03:47)
12. No Way (04:08)
13. Let's Get This Party Started (03:41)
14. Wish You Could Be Me (01:07)
15. Counting (03:37)
16. Dirty (07:50)
Issues
Alle soglie del 2000, i Korn continuano a mietere successi, e sono uno fra i pochissimi gruppi nu-metal che riesce a reinventarsi sensibilmente e creare album sempre differenti e di qualità sempre soddisfacente a uno o due anni di distanza l'uno dall'altro, senza indebolirsi e senza adagiarsi sugli allori, nonostante il successo di pubblico.
Con Issues (Immortal/Epic, 1999), loro quarto full-length, i Korn mostrano ancora una volta di tenere particolarmente al loro fanbase, dato che di Issues esistono 5 copertine differenti, ognuna disegnata da un fan, e scelte dalla band tramite un concorso.
Musicalmente parlando, la band cambia nuovamente produttore (stavolta rivolgendosi al noto Brendan O'Brien), e pulisce il proprio sound dalle forti influenze hip-hop molto presenti nel precedente Follow the Leader.
Un breve opener, Dead, in cui una batteria sincopata e le fidate cornamuse di Davis accompagnano delle parole assai poco rassicuranti ("Every time I get ahead, I feel more dead"), introduce così il primo singolo Falling Away from Me, maestosa ballata angosciante dagli echi liturgici e orrorifici. Bastano pochi minuti per capire che i Korn, forti di un grosso budget e di una buona maturazione compositiva e stilistica, si sono ora chiusi nel proprio lato più alienante e dark; e, se il basso di Fieldy non suona più slappato e tagliente come nei precedenti dischi, è anche vero che ora è divenuto molto più amalgamato al resto della band, che riesce così a costruire un nuovo tipo di muro sonoro, dalle vibrazioni bassissime ma molto più avvolgenti e tetre piuttosto che aggressive e heavy-metal.
Anche la successiva Trash si fa notare positivamente, mentre 4 U è un semplice interludio; Beg for Me è invece uno dei vertici del disco: devastante, furiosa, paranoica, violenta e sorprendentemente oscura, nei riverberi delle strofe e nell'esplosione strumentale del chorus trova la propria essenza micidiale e infernale.
Le inedite peculiarità sonore sono disseminate lungo il corso di tutto il resto dell'album, in cui compaiono altri tre interludi di carattere psichedelico-sperimentale ma sempre in chiave dark e angosciante (It's Gonna Go Away, Am I Going Crazy, Wish You Could Be Me), e memorabili chorus come quelli di Make Me Bad (destinata a diventare in breve, sorprendentemente, una hit anche in Europa), Hey Daddy (rabbiosa e tagliente) e Somebody Someone (dalle cadenze mostruose e trascinanti, con una serie di vocalizzi eccelsi da parte di Davis, ma soprattutto uno dei riff migliori mai sfoderati dalla band, che in coda si fa ancora più lento e lento e micidiale).
Il sound e la cura per i dettagli trovano su questo disco una nuova dimensione, che riesce a tenere magicamente in equilibrio sfuriate da maniaco omicida, morbidezza melodica e sonora, ed un umore tragico, gotico e infernale che fa suonare ogni nota come proveniente dalla gola di un lupo mannaro indemoniato; pezzi come Somebody Someone (che passa senza alcuna sbavatura dalla filastrocca melodica degli strumenti nelle strofe alla progressione panzer finale), Make Me Bad (che riesce a far suonare estremamente catchy un chorus amaro e schiumante rabbia) e Wake Up (che lega assieme urla su riff groove ribassato, chorus melodico viscerale, impreziosimenti produttivi, scariche da elettroshock, breakdown depresso e soffuso prima di un nuovo crescendo), senza contare il ruolo che gli interludi hanno nel definire l'umore e l'atmosfera dei pezzi precedenti e successivi, rivelano una maestria e maturità ormai indubbia.
Il disco si chiude ancora una volta con un episodio estremamente angosciante, che stavolta risponde al nome di Dirty, pezzo che termina in un rumore elettronico che dura diversi minuti prima di spegnersi in un fade-out. Stavolta è assente la consueta traccia nascosta, dunque, ed è un segnale che accresce i toni pessimistici del lavoro.
Il cardine di Issues è ancora una volta la voce di Jonathan Davis, che dimostra tutta la sua versatilità adottando registri, inflessioni e timbri continuamente differenti, dimostrandosi dunque come il cantante metal più originale ed eclettico della sua epoca, essenzialmente una versione oscura e malata di Mike Patton. Davis dimostra inoltre anche il proprio talento musicale suonando non solo le sue tipiche cornamuse, ma anche curando i vari interludi presenti nel disco, e occupandosi del drumming nei brani Trash e Dirty.
Issues è quindi fortemente retto da lui, e i suoi vocalizzi (mai così profondi e psichici) suonano come una disperata richiesta di aiuto rivolta a qualcuno che sembra non sentire.