- Lex Koritni - voce
- Eddy Santacreu - chitarra
- Luke Cuerden - chitarra, backing vocals
- Matt Hunter - basso, backing vocals
- Chris Brown - batteria
1. Red Light Joint
2. Under The Overpass
3. Heaven Again
4. Highway Dream
5. Never Say Goodybe
6. Sick Again
7. Not Your Man
8. I See The Light
9. Starving Fast
10. Lady Luck
11. Got To Get You Into My Life
12. Ain't No Love Song
Lady Luck
Dopo il fortunato album del 2005 con i Green Dollar Colour, adesso il cantante Lex Koritni si ripresenta con la sua nuova band, un progetto molto personale e ritagliato su misura per lui, tanto che persino il nome, Koritni appunto, tende ad avallare tale idea.
Il suo timbro vocale lo avvicina ad altri singer australiani come il compianto Michael Hutchence degli INXS o Jimmy Barnes, ma in qualche frangente, soprattutto in quelli più blues-oriented, sembra ripercorrere le gesta di Jeff Keith dei Tesla, ed anche il resto della band si mostra all'altezza della situazione nel tentativo di riproporre un hard/sleaze rock elettrico che affonda le sue radici in una miscela di gruppi come Guns N' Roses, Rose Tattoo, Free e soprattutto AC/DC, il tutto impreziosito poi da sfumature blues, e nel proporre ciò si trovano pure agevolati dalla presenza dietro la consolle di Mike Fraser, il quale in passato aveva lavorato anche per AC/DC, Aerosmith e Van Halen, cosa che fa denotare una sicura esperienza nel mixare lavori di tale genere.
I dodici brani di Lady Luck si muovono tra reminiscenze anni '80, un rock grezzo e vivace, scariche elettriche ed energetiche ad alto voltaggio, arrangiamenti essenziali, che rendono il lavoro carino e gradevole, ma che rivelano ancora un song-writing da sviluppare e perfezionare, cosa peraltro non difficile da ipotizzare se si pensa alla giovane età della band, in media sono tutti poco più che ventenni, e all'alto potenziale che lasciano già intravedere.
Il riff elettrico che apre Red Light Joint è in pieno stile AC/DC, ed anche il brano non si discosta mai per tutta la sua durata da quelle sonorità, molto buona la voce ruggente e graffiante del singer nella successiva Under The Overpass, solare e dinamica, carina ma nulla di particolarmente eccezionale, molto bella invece Heaven Again, grintosa e graffiante song che mostra di loro un lato diverso da quello che li avvicina troppo alla leggenda di Scott, Young e compagni, come avviene invece nella successiva Highway Dream, con particolare riferimento al riffing, mentre Never Say Goodbye presenta strofe dalle tinte blues ed un ritornello catchy. Altro pezzo notevole e con caratteristiche simili al precedente è Sick Again, soprattutto per via del suo bel refrain, mentre inizia ad aversi sempre più la sensazione che sia l'ottima interpretazione del singer e la buona prova delle due chitarre a dominare l'intero lavoro; si continua ancora con il rock grezzo ed elettrico di Not Your Man e I See The Light, che lasciano spazio al mood blues di Starving Fast, tutti brani questi che si lasciano ascoltare piacevolmente, pur senza rappresentare niente di clamoroso. Un plauso particolare invece per la bella title-track e per la malinconica closer Ain't No Love Song, non si tratta però di una ballad non lasciatevi ingannare dal titolo, due tra i brani migliori del lotto, e tra le due una cover di Got To Get You Into My Life dei Beatles riproposta naturalmente in versione sleaze rock.
Lady Luck è quindi un album carino, divertente, carico di energia e vitalità, con canzoni sempre brevi e dirette, tanto scarne ed essenziali nella loro struttura quanto spensierate e coinvolgenti nel risultato, di certo un buon trampolino di lancio per la giovane band australiana, che potendo sfruttare questo periodo di revival e riscoperta dell'hard rock (sempre che duri, ed io ovviamente spero di sì) potrebbe in futuro ambire a scrivere pagine importanti nel loro genere di competenza.