- Mike D'Antonio - basso
- Adam Dutkiewicz - chitarra, cori, pianoforte
- Tom Gomes - batteria
- Joel Stroetzel - chitarra
- Jesse Leach - voce
Guests:
- Becka Dutkiewicz - cori su My Last Sereneade
- Philip Lebonte - cori su Self Revolution
1. Numbered Days
2. Self Revolution
3. Fixation On The Darkness
4. My Last Serenade
5. Life To Lifeless
6. Just Barely Breathing
7. To The Son Of The Man
8. Temple From The Within
9. The Element Of One
10. Vide Infra
11. Without A Name
12. Rise Inside
Alive or Just Breathing
Forti del successo ottenuto, mediante il contratto con la Ferret Records, con la realizzazione dell’omonimo album d’esordio, i Killswitch Engage riescono ad approdare alla scuderia Roadrunner Records, dando avvio al periodo della loro carriera più proficuo e produttivo. Da subito la band preleva un quinto elemento, il batterista Tom Gomes, in modo da far concentrare Adam Dutkiewicz alla chitarra e migliorare l’assetto del già convincente song-writing proposto: registrato in ben sette mesi di tempo (e la produzione dell’album risentirà appunto di questa cura maniacale dei particolari, grazie anche al lavoro del celebre Andy Sneap), il secondo full-lenght dei Killswitch Engage, tale Alive Or Just Breathing esce nel maggio 2002, regalando tre quarti d’ora di violento connubio tra l’aggressività del Metalcore e la melodia della corrente Death scandinava dei Novanta (In Flames su tutti). Il cantato subisce delle modifiche, diventando non tanto più incisivo, quanto vario, capace di spaziare tra penetranti sezioni growl e sospese parti clean, entrambe validissime nella loro alternanza; la presenza di un vero e proprio batterista alle pelli provoca inoltre una maggior elaborazione del tessuto ritmico, che si lega alla perfezione con il riffing delle chitarre e risulta più elaborato di quello esibito sull’esordio del 2000.
Numbered Days apre il platter in maniera impeccabile, attraverso l’impiego di un’atmosfera inquietante e di travolgenti sezioni di chitarra, quelle scandite e ricche di esaltanti riprese tipiche del Metalcore contemporaneo. Poiché dal punto di vista lirico, il disco è un concept sulla materia spirituale, nella traccia di avvio si parla della caduta di Babilonia, narrata dal profeta Geremia nella Bibbia. Le strutture delle canzoni si fanno più complesse, valorizzando i diversi tipi di cantato e regalando all’ascoltatore un buon numero di nuovi elementi su cui concentrarsi.
Self Revolution è la testimonianza di come i Killswitch Engage riescano a concentrare le loro idee in poco più di tre minuti, garantendo però una freschezza compositiva elevatissima, indice del bagaglio tecnico in possesso del quintetto del Massachussets.
Fixation On The Darkness nelle sue dinamiche si avvicina parecchio a filoni più Groove, mantenendo l’approccio furioso e devastante che accompagnerà l’intero album; Leach mette in evidenza l’ambivalenza dello spirito umano, in cui positività e negatività si contrappongono, concentrandosi sul lato oscuro e sulla speranza di come esso possa essere vinto.
Il gruppo americano ha buon gusto e si intravede in una traccia distesa come My Last Serenade che, pur ripercorrendo nuovamente gli stilemi tipici del Metalcore, conferisce largo spazio alla melodia sia nella direzione della voce clean sia negli spiragli di chitarra acustica: anche Just Barely Breathing fa trasparire una certa melodia di stampo scandinavo dal riffing delle chitarre, tagliente e maligno quanto la voce di Jesse Leach, mai sforzata verso growl/scream così elevati o verso clean dalle reminescenze Hardcore. Viene poi riproposta Temple From The Within, opener del precedente full-lenght, registrata nuovamente in occasione dell’alto budget concesso dalla Roadrunner Records per la realizzazione di Alive Or Just Breathing: di gran lunga migliore della grezza versione del 2000, la canzone sa coinvolgere con i suoi numerosi cambi di ritmo, ben concepiti ed eseguiti dai Killswitch Engage. Le tracce conclusive si abbandonano ad una brutalità e ad una violenza uniche all’interno del full-lenght, capace di sorprendere per la forma che fa assumere al sound della formazione.
In definitiva, Alive Or Just Breathing è un lavoro ben strutturato, che costituisce una delle realizzazioni più interessanti della scena Metalcore del dopo-2000, grazie alla brillantezza di un song-writing votato al giusto equilibrio tra gradevolezza musicale e aggressività e non scontato nella sua direzione. Si consiglia pertanto il disco a chi, attratto già dai timbri trascinanti, seppur non dotati di una registrazione impeccabile, dell’esordio discografico di questi cinque ragazzi, voglia approfondire la loro evoluzione: il marchio Roadrunner Records poi è solo a garanzia di un ottimo album Metalcore, che saprà appassionare nei suoi tre quarti d’ora di follia compositiva.