- Cristopher Chase - basso
- Isaac Fratini - batteria
- Patrick Guild - voce
- Dj Rogers - chitarra
- Elijah Horner - voce
1. (Re) Acquaintance
2. Part 2 (Motel art)
3. Fractures
4. Thirty Four Seconds
5. Consequence (What Comes Next)
6. Everything But Everything
7. Hang The Jury
8. We Were
9. You’re All Welcome
10. Thirteen Steps
11. Holding The Claws
12. Resolution
Fractures
I Killing The Dream, band di Sacramento con già alle spalle due album nel 2004 e 2005, torna dopo tre anni per regalare al suo pubblico amante dell’hardcore questo esplosivo di rabbia concentrata in 24 minuti.
Chiaro fin dall’inizio l’intento del gruppo di colpire, attirare l’attenzione attraverso un mix non di facile ascolto fra il delirante punk hardcore e la ricerca della melodia.
L’album inizia con la cascata musicale di Part 2, che cattura per la sua immediatezza, per la velocità della batteria come nella migliore tradizione punk hardcore, per le melodie che la chitarra tenta comunque di realizzare in questo delirio, e per la voce di Elijah Horner: questa riesce perfettamente a rendere esplicito il messaggio dei testi, la disperazione e la sofferenza delle parole; è una voce che non abbandona questa sensazione di sofferenza per tutto l’album, una voce che urla rabbiosa, veloce, dolorosa senza rendere mai piatto il lavoro. La title track è uno dei brani migliori di questo album: all’inizio i Killing The Dream ci lasciano illudere che il pezzo sia incentrato su una scontata melodia, per poi far esplodere subito dopo l’irrazionalità dell’hardcore. Bellissimo il frangente che si apre al cinquantasettesimo secondo per poi spegnersi dopo appena otto secondi: la batteria continua a correre impazzita, mentre voce e chitarra prendono strade proprie per poi incontrarsi dopo poco in una parte più melodiosa. Quei pochi secondi lontani dalle sonorità classiche, così come la fine della title track, dimostrano la vicinanza di questa band non solo al panorama hardcore, ma anche ad un tipo di sonorità più sperimentali e meno classiche.
Probabilmente però, se questi musicisti avessero osato di più, se avessero sfidato di più la tradizione hardcore, se avessero seguito maggiormente gli spunti piacevoli e poco scontati di alcune belle parti di questo lavoro, quest’ultimo sarebbe molto più che un album hardcore punk e sfuggirebbe alle etichette. Stesso discorso della title track vale per altri brani, come Consequence, Everything But Everything o We Were: bell’intreccio di spietato hardcore e melodia e voce sempre abile nel trasmettere la rabbia immensa, l’insofferenza. Resolution è l’epilogo di questo lavoro tutt’altro che fallimentare della band americana: quattro minuti e poco più di varie influenze musicali che si legano alle classiche parti; a volte quasi dispiace in alcuni pezzi, ad esempio in questo, la presenza di alcune parentesi eccessivamente melodiche che rompono l’armonia discorde di altre sezioni molto più originali, in cui il controtempo regna sovrano per qualche istante.
Fractures non rappresenta assolutamente una frattura con la tradizione punk hardcore, ma introduce elementi innovativi interessanti, che se fossero stati ampliati avrebbero allontanato questo album dai precedenti dei Killing The Dream e avrebbero indirizzato questi verso spiagge bagnate da onde più inedite. Ma la musica non si fa coi se: resta questo lavoro, Fractures, che si lascia piacevolmente ascoltare da orecchie non troppo facili, un album carico e dirompente.