- Shirley - voce
- Critz - chitarra
- Irham - batteria
- Gray - basso
- Kevin - tastiera, synth
1. Rejection
2. Dramas in Formaldehyde
3. I Don't Care
4. Stuntman
5. Step by Step
6. Lost My Pride
7. Dead In Vain
8. Can Feel
Dramas in Formaldehyde
A distanza di un solo anno dal precedente buon (seppur limitato) EP Dying Life, gli abruzzesi KeeN tornano sulle scene con il loro ennesimo "anticipo" prima dell'agognato debutto vero e proprio, sperando che qualche casa discografica si decida a notarli: Dramas in Formaldehyde. Il discorso della casa discografica non vale solo per il permettere ai KeeN di, finalmente, ottenere pieno supporto promozionale e distributivo, ma anche per consentire i necessari finanziamenti che possano portare una registrazione degna e i mezzi per concentrarsi sullo scrivere ancora più canzoni. Difatti DiF è fortemente carente nella registrazione, letteralmente fatta in casa e che influisce particolarmente sulle chitarre e sulle vocals di Shirley, appiattite e rese poco incisive dalla qualità audio, e seppur proponendo un buon numero di brani per un semplice EP (7 più una intro), la volontà del gruppo è di realizzarne all'incirca 5/6 in più, scelta con i suoi vantaggi. Inoltre i KeeN approfitterebbero della situazione anche, come loro ammissione, per aumentare esponenzialmente la quantità di elettronica nei loro brani; ciò non significa che ve ne sia poca in Dramas i Formaldehyde, anzi, un tessuto di tastiere e synths si intreccia in tutte le canzoni ricreando un suggestivo sfondo elettronico. Come già mostrato da loro in passato, l'influenza dai maggiori esponenti della moderna scena industrial metal si percepisce, ma i KeeN tendono a reinterpretarli "alla loro maniera" piuttosto che ripeterne gli schemi, e ne esce fuori un risultato personalizzato, con buone prospettive per il futuro. Comunque, i giovani abruzzesi sostengono di non voler più che il loro gruppo sia paragonato ad altre celebri formazioni industrial dell'ultimo decennio e di fare semplicemente la loro musica inseguendo questo obiettivo, il che indica che l'eredità raccolta dal quintetto è stata assimilata: perciò le influenze si sentono in quanto integrate nel loro stile, il che apre un sentiero promettente per il gruppo, se solo (ancora una volta) ci fosse il supporto di una label a consentirgli di sfruttare appieno il loro potenziale. Rispetto a Dying Life, però, in Dramas i Formaldehyde il piglio catchy dell'album viene, come già accennato in precedenza, limitato dalla produzione; in compenso, il songwriting si fa più compatto e maturo, mentre al contempo si arricchisce l'impatto, e le tastiere rimangono fortemente melodiche. Infine, quel pizzico ampiamente godibile di attitudine dance (anche se forse sfruttata meglio in Dying Life) a completare il lavoro.
Si parte con le atmosfere oscure e moderne di Rejection, relativamente lunga strumentale d'introduzione che si ricollega alla titletrack, Dramas in Formaldehyde: riff abrasivi ed elettronica pungente si mescolano subito, spianando la strada per la voce acida di Shirley, che si adatta anche alle tastiere epiche del chorus conferendo all'atmosfera un tocco di cupezza post-industriale. Più allucinogena e ossessiva, relativamente parlando, I Don't Care, canzone dura ma fortemente melodica, in cui si inserisce anche un breve spezzone acustico. Stuntman è particolare, poiché pare ideata apposta per sprigionare energia e melodia, soprattutto nei live, ma anche furia e acidità di contrasto, e poi rifugge dal ripetere in continuazione e fin da subito l'orecchiabile chorus, scelta che avrebbe conferito certo un maggiore impatto, ma avrebbe anche banalizzato il brano. Step by Step è uno dei pezzi migliori, si concentra sulla carica melodica lasciando cadere parte delle atmosfere oscure delle tracce precedenti, ritrovando ancora un breve inserto acustico; si nota particolarmente per il motivo principale, direttissimo e costante nella canzone, rendendola trascinantissima. Un altro pezzo fra i migliori è Lost My Pride, decisamente più oscura, ma che sfocia ugualmente in un ritornello ancora una volta parecchio catchy, ma un po' scontato; meno scontato è il piccolo ma accattivante assolo in bending. Il brano migliore di tutto il repertorio è forse Dead in Vain, ricca e melodicissima orchestrazione fra trance e riff meccanici di sottofondo, per quella che probabilmente è la performance meglio riuscita del disco. Chiusura affidata ad I Can Feel, ballata rammsteiniana banale e sviluppata in modo fin troppo prevedibile, in cui però il suggestivo chorus finale mieterà sicuramente tante vittime fra i fan nei live.
Un EP davvero molto buono, non perfetto, ci mancherebbe altro, ma sicuramente molto interessante nella scena industrial italiana. La penalizzazione offerta dalla cattiva registrazione è fortemente limitante, ma possiamo in tutta certezza dire che in eventuale sede live si potrà godere appieno dell'impatto dei brani. Ma quand'è che potremo finalmente ascoltare una loro prova, si spera degnamente registrata, in un full-lenght completo?