1. Babooshka
2. Delus
3. Blow Away
4. All We Ever Look For
5. Egypt
6. The Wedding List
7. VIolin
8. The Infant Kiss
9. Army Dreamers
10. Breathing
Never for Ever
Dopo uno straordinario debutto ed un seguito mediocre, Never For Ever è il perfetto terzo album per un artista emergente: ben fatto, originale, equilibrato tra una sperimentazione non troppo ambiziosa e sonorità note e gradite al pubblico, tanto da essere il primo album della storia ad entrare al primo posto nelle classifiche inglesi.
Viaggiando lungo le undici tracce dell'album sembra di muoversi con circospezione in un enorme spazio enigmatico, nel buio più assoluto. A rischiarare l'oscurità, a tratti, compaiono i pezzi, ciascuno completo in se stesso e ostinatamente autonomo rispetto agli altri, conditi da arrangiamenti estrosi e dalla vocalità di Kate Bush che, come sempre, appare perfetta nell'interpretazione dell'episodio che in quel momento vuole raccontare. E' questo il caso di Blow Away, una ballata quasi liquida coi suoi archi e tocchi di pianoforte che ondeggiano come onde, sostenute dalle linee umanoidi del basso. La voce è la vera protagonista che, cospargendo il brano di un'amara malinconia, canta di abbandono, incertezza, moltiplicandosi istantaneamente in mille altre voci, funzionando contemporaneamente anche da strumento. La voce-strumento compare sin dall'inizio anche in Egypt, dalle sonorità orientali, capaci di evocare l'azzurro e l'oro, il cielo e le sabbie dell'Egitto. Costellata di battiti arcaici, si fonda su sommessi cori ieratici e su misteriosi, concitati tratteggi vocali che, dal primo secondo, tentano di inseguire le linee di pianoforte.
Tra le sonorità che compongono Never For Ever non mancano quelle più prettamente rock, ed è il caso di The Wedding List e soprattutto della delirante Violin, in cui la voce rasenta adirata gli ultrasioni, ma c'è anche spazio per All We Ever Look For, medievaleggiante, e il valzer di Army Dreamers, fino ad arrivare all'estrosità di Delius, che si dipana tra gorgheggi celestiali e cupi borbottii che scivolano su bambinesche frasi di pianoforte e sintetizzatore.
Nel buio incuriosito in cui sembra di aggirarsi, tre sono le canzoni che spiccano più di tutte: la prima è Babooshka, dall'inconfondibile melodia pianistica che si intreccia alle profonde vibrazioni del basso e ad un'interpretazione senza pari, impegnata nella disperata e rassegnata descrizione di una storia di gelosia estrema. La seconda canzone è The Infant Kiss, struggente e terrorizzata, e la terza è l'accorata e spasmodica Breathing.
Fin da subito è chiaro che l'argomento che vuol'essere ritratto in quest'album è il dolore, declinato in tutte le sue accezioni: c'è il dolore rassegnato, quello insostenibile, quello terrorizzato, quello adirato, e a ciascuna delle personalità del dolore è dedicata una canzone. Ma, nonostante ciò, l'ascolto non è affatto un'esperienza triste: il tema è sempre affrontato con lucida coscienza e invece dell'angoscia a fare da filo conduttore tra i diversi pezzi è un'arcana, a tratti lugubre aria esoterica, inconfondibile firma che certifica l'appartenenza di quest'opera alla creatività di Kate Bush.