1. Sat in Your Lap
2. There Goes a Tenner
3. Pull Out the Pin
4. Suspended in Gaffa
5. Leave it Open
6. The Dreaming
7. Night of the Swallow
8. All the Love
9. Houdini
10. Get Out of My House
The Dreaming
Agli albori degli anni ’80, dopo aver partorito tre album di grande successo tanto di pubblico quanto di critica, una Kate Bush appena ventiquattrenne decide di affrancarsi da qualsiasi produttore e di ideare, scrivere, suonare e produrre tutto da sola un album che passerà alla storia come il suo peggior record commerciale ma, probabilmente, il migliore album che avesse mai potuto scrivere: è così che nasce The Dreaming.
Se non il migliore, The Dreaming è sicuramente l’album più controverso di Kate Bush e, per certi versi, il suo primo vero album maturo, una maturità che si manifesta per la prima volta nella sua totalità e che troverà pieno compimento nel successivo Hounds of Love.
La prima delle 10 tracce che compongono l’album è Sat in Your Lap, una spaventosa e movimentata danza tribale battuta da forsennati tamburi poliritmici e trombe sintetiche, una nenia fragorosa condotta da un pianoforte pizzicato come fosse un clavicembalo, sfondo perfetto ad una voce che rappresenta un vero e proprio flusso di coscienza: ora è pacata e riflessiva, ora quasi seccata, ora improvvisamente urlata al limite dell’umano. È il solito e perfetto teatro di interpretazioni di cui Kate Bush è sempre stata una formidabile attrice, efficace nel rappresentare, in questo caso, il travaglio della ricerca di una conoscenza totale e vera che Kate pensa sia lì, seduta sul proprio grembo, a portata di mano ma comunque troppo difficile da avvicinare.
Pull Out The Pin è una canzone sulla guerra, dai riferimenti presenti nel testo si intravede la guerra in Vietnam. Affilate lame di basso fendono l’aria come onde d’urto di un’esplosione, mentre clangori metallici si espandono liquidi sul pianoforte. Il gioco della guerra pone un uomo davanti ad una scelta atroce, nelle sue mani collidono la vita di un altro essere umano e la sua stessa esistenza: negli occhi dell’altro vede una moglie, vede un piccolo mondo, ma lui ama troppo la vita per poterci rinunciare. Tirare la linguetta o non tirarla? Archi incalzanti affrettano la scelta, mentre profondi cori maschili, personificazioni dell’istinto di sopravvivenza, invitano a farlo. Non si sa se la alla fine il protagonista lancia la granata, dopo l’ultimo, animalesco “I love life” un delirante assolo di chitarra elettrica scende come un sipario sul palco, dipingendo un’ombra sulla squallida scena che è accorso a nascondere.
I temi trattati nelle canzoni sono vari, ma oltre ai testi colmi di ironica profondità, a colpire è la musica in sé: svariati sono gli esperimenti sonori che Kate Bush si lancia a realizzare, a partire dal saltellante valzer di Suspended in Gaffa, una canzone che ancora una volta parla di una ricerca, una ricerca quasi montaliana di un senso della vita che sembra rivelarsi a tratti, lasciando sospesi nel vuoto, come fa la musica un attimo prima di abbandonarsi al ritornello scandito da colpi di frusta, tra chitarre pizzicate e linee di basso avvolgenti, una sonata medievale che risuona della voce di una Bush bambina. Night of the Swallow è invece a tutti gli effetti una canzone folk, una romanzesca storia di loschi traffici aerei e frustrazioni latenti innestata su una ballata celtica per pianoforte e cornamusa, in cui la voce si leva alta per poi tornare in basso in un moto ondoso travolgente.
Caratteristico di molte canzoni di Kate Bush è l’esoterismo: Get Out of My House, il pezzo di chiusura, col suo turbine di percussioni e urla lancinanti si ispira al celeberrimo “The Shining” di Stephen King, e la delicata Houdini è dedicata alla vita ed alla leggendaria morte del famoso illusionista e, in particolare, alla storia di sua moglie, una donna che ha trascorso gli ultimi anni della sua vita nella tenue speranza di ritrovare l’amore perduto tramite oscure sedute spiritiche. Esoteriche risultano anche molte sonorità, come il finale demoniaco di Leave it Open, con tanto di frasi al contrario, e soprattutto la title track, The Dreaming. Canzone ispirata ai miti creazionistici degli aborigeni australiani e scritta in un fantasioso slang aussie, si affolla di urla, ringhi, latrati e battiti in un insieme quasi cacofonico. Lame di luce tagliano il buio in forma di sinistre strisce di sintetizzatore e un sabba di streghe e diavoli si scatena in urla e belati durante il ritornello, creando un effetto straniante e misterioso, a cui contribuiscono il sordo, monotono rombo cavernoso del didgeridoo e arcane frasi aborigene. Questo pezzo carico di carisma rappresenta il fulcro dell’album raccogliendo in sé ed esaltando l’eterogeneità degli altri brani, una finestra spalancata sul mondo di Kate Bush, fatto di magia e mistero, maestria e genialità. Un brano controverso e spiazzante, destinato ad essere ammirato.
The Dreaming si presenta come un solidissimo album di art rock. Figlia della realtà musicale in cui è nata, Kate Bush infarcisce di avanguardia un accessibile pop d’autore in una commistione molto efficace, prendendo spunto dai suoi contemporanei modelli e scopritori come i Pink Floyd e Peter Gabriel ma creando un prodotto originale, a sua volta inevitabilmente destinato ad ispirare intere generazioni di cantanti.
L’aspetto più caratteristico della musica della Bush è, comunque, la voce: una voce potente e versatile, che fin dai tempi del debutto di The Kick Inside con la celebre Wuthering Heights ha stupito il mondo per la sua capacità di trattare con chiarezza i registri più acuti così come quelli più gravi, creando uno stile canoro impareggiabile che ha fatto una folla di eredi e imitatori.
Con la sua carriera e in particolare con quest’album, Kate Bush si è delineata come una bizzarra musicista, la madre di tutti coloro che fanno musica seguendo nient’altro che i propri canoni con tanta originalità, capacità e, magari, un pizzico di follia, e nessun album potrebbe dimostrarlo meglio di The Dreaming .