Voto: 
7.8 / 10
Autore: 
Andrea Rubini
Genere: 
Etichetta: 
Spinefarm/Audioglobe
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Pekka Kokko - voce, chitarra

- Antti Kokko - chitarre

- Janne Kusmin - batteria

- Timo Lehtinen - basso

- Marco Sneck - tastiere



Tracklist: 

1. Defeat

2. Bitter Metallic Side

3. Time Takes Us All

4. To the Gallows

5. Svieri Doroga

6. The Black Waltz

7. With Terminal Intensity

8. Man of the King

9. The Groan of Wind

10. Mindrust

11. One From The Stands

Kalmah

The Black Waltz

Nati dalle ceneri degli Eternal Tears Of Sorrow, I Finlandesi Kalmah ritornano con il loro quarto album, dopo tre anni di silenzio. Tra l’altro, la notizia della reunion dei capostipiti aveva già allarmato al loro scioglimento. E invece il combo, che in lingua natia significa “NELLA TOMBA”, esce nei primi mesi dell’anno con un nuovo lavoro, molto agguerrito e degno dell’esordio datato 2000 Swamphlord.

I “Signori della Palude”, come amano definirsi, ci introducono l’album con Defeat, una canzone veloce dal ritmo incalzante, ricca di giri tanto cari ai Children Of Bodom, gruppo che li ha pubblicamente svezzati e ispirati. La canzone tra l’altro, come le successiva Bitter Metallic Side e Time Takes Us All sono tributi ai connazionali nell’era Something Wild e Hatebreeder soprattutto, particolare svelato dalle metriche coinvolgenti e i riff di chitarra. L’uso copioso delle tastiere a coronare la metrica rende le cavalcate della batteria molto più morbide e accessibili, senza per altro eccedere o sfinire l’ascoltatore con effetti di programming puro. Il tutto è molto atmosferico e ben amalgamato. Kokko ha una voce davvero grezza e cavernosa, che può rendere difficile l’ascolto, ma è molto ben inserito nel contesto, come in To The Gallows, dove il ritmo è sostenuto ma le chitarre ne bilanciano la furia.

Come spesso sempre di più capita, anche i Kalmah ci regalano con Svieri Doroga un pezzo lento, fatto di tocchi leggeri e chitarra arpeggiata, senza uso di voce. Dura solo un minuto, e ci ritroviamo ad ascoltare la sesta traccia, ovvero la title track The Black Waltz, pezzo che fa dell’orchestrazione e del ritornello carico i punti di forza, con il guitar solo di puro stile classico. Lo stampo della band continua imperterrito nelle conclusive With Terminal Intensity, Man Of The King, The Groan of Wind e Mindrust: giri veloci, chitarre che tessono la trama e la tastiera che la guarnisce, rallentamenti tra le strofe e i ritornelli, intro e outro curati e spesso virtuosi ma secchi. E nemmeno l’undicesima traccia ci sorprende, intro veloce di tastiera e chitarre intrecciate, sorretto da una vera cavalcata dal punto di vista del drumming.

Il lavoro è davvero buono, accurato e prodotto bene. I Kalmah però difettano di originalità, le canzoni sono strutturalmente uguali, e per un non cultore del genere il confonderle è davvero facile; si corre davvero il rischio di stufarsene. Rimane tra l’altro un ottimo disco per chi già adora il death melodico, e un discreto prodotto per chi lo sta iniziando a fare solo ora.

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