- Hans Lundin - tastiera, voce
- Roine Stolt - chitarra acustica, chitarra elettrica, voce, percussioni
- Morgan Ågren - batteria
- Jonas Reingold - basso Fretless e Yamaha
- Patrik Lundström - voce
- Aleena - voce
1. The Dodger (08:09)
2. Electric Leaves (04:13)
3. Shadows of Time (06:50)
4. A Pair of Sunbeams (05:19)
5. Mindrevolutions (25:47)
6. Flowing Free (03:53)
7. Last Free Indian (07:27)
8. Our Deepest Inner Shore (04:59)
9. Timebomb (04:32)
10. Remains of the Day (08:02)
Mindrevolutions
I Kaipa sono probabilmente l’esempio più concreto ai nostri giorni di quelle bands Progressive Rock degli anni ’70, che dopo qualche buona pubblicazione escono dalla scena musicale, restando lontano dalle sale di registrazione per un trentennio. Mindrevolutions, datato 2005, è l’ultima fatica della rinnovata formazione svedese che cerca sia di eguagliare l’album omonimo del 1975 e l’altrettanto convincente Inget Nytt Under Solen del 1976, sia di superare l'ultimo Keyholder (2003).
I due membri fondatori che sono rimasti fedeli al progetto Kaipa sono il tastierista Hans Lundin e il chitarrista Roine Stolt, forse più noto per le sue opere con i connazionali The Flower Kings. Com’è tradizione per i gruppi svedesi Progressive, i Kaipa riprendono ancora gli spunti Folk tipici della cultura scandinava, proprio come gli Anglagard di Hybris e Epilog.
Il sound però è molto diverso, melodico e diretto, non elaborato, ma semplice e spontaneo, che colpisce l’ascoltatore con i suoi toni soavi, con pianoforti sognanti e con l’alternanza di voci a tratti scherzose e a tratti riflessive. Questo mutamento è stato provocato anche dall’entrata nella line-up da parte di musicisti aperti mentalmente, quali il batterista Morgan Ågren (Zappa), il bassista Jonas Reingold (The Flower Kings, The Tangent) e il cantante Patrik Lundstrom (Ritual). L’Inside Out ha creduto nel ritorno del gruppo di Lundin e ha deciso di supportarlo, producendo e promuovendo Mindrevolutions, lavoro che si prospetta abbastanza complesso da commentare poiché formato da elementi troppo discostanti. I capitoli che si susseguono pongono in primo piano il sentimento, testimoniato non solo dalle sezioni degli strumenti, ma in particolar modo dalle voci di Aleena e di Patrik, vere rivelazioni dell’album.
Nell’introduttiva The Dodger, di otto minuti di lunghezza, viene focalizzato un commovente e toccante tema di pianoforte: i Kaipa non si abbandonano a virtuosismi ma cercano di valorizzare l’emotività espressa da ciascuno strumento. All’interno della canzone si verificano variazioni e riprese, mentre il ritmo si conserva lento e senza cambiamenti repentini.
Il clima festoso che si origina dalle chitarre è evidenziato soprattutto dalla seconda Electric Leaves, forse la migliore in questo Mindrevolutions: il timbro vocale femminile è originale e si possono ricercare frammenti quasi Pop all’interno della composizione.
Shadows of Time, come la definisce lo stesso Hans, è una ninna-nanna piacevole per rilassarsi alla fine di una giornata e per poter sognare; la ballata è veramente trascinante e richiama alla memoria lo stile dei Genesis per il flauto o degli Yes per i cori vocali.
L’album perde la sua compattezza iniziale nei pezzi seguenti che risultano o scarsamente dinamici dal punto di vista delle idee compositive o prolissi nella struttura: dopo un’appariscente A Pair of Sunbeams, ecco la colossale e strumentale title-track, Mindrevolutions, lunga 25 minuti. I numerosi motivi, riffs e temi sono sconnessi e i Kaipa non trovano i collegamenti per poter sviluppare la canzone linearmente e senza eccessi. Il brano è carico di improvvisazione e lo stesso Lundin ha impiegato tre giorni per portarlo a termine: dapprima doveva essere posto su un Bonus-cd per evidenziare un’altra faccia dei Kaipa, quella legata al Progressive Rock più tecnico e dotato di una struttura variabile, distaccandosi così dalla precisione e compostezza che contraddistingue le altre tracce. Tuttavia, è rischioso porre un capitolo così lungo e confusionario all’interno di un disco ben delineato e lontano da soluzioni inaspettate: perciò Mindrevolutions sarebbe stato da archiviare in un secondo cd distaccato dall’opera, ma Stolt non era entusiasta riguardo tale proposta di Hans.
Lo stile delle successive ballate, Flowing Free e la malinconica Last Free Indian è molto vicino alle sonorità dei Pain of Salvation, la band più importante del panorama Prog svedese e i Kaipa, pur non possedendo la tecnica della formazione capitanata da Gildenlow, riescono a far emergere ottime idee, giocando su arpeggi e sugli intrecci delle voci.
I toni dolci persistono in Our Deepest Inner Shore, trasportata da un pianoforte soave ma che lascia un tocco di tristezza nell’ascoltatore, proprio come l’interpretazione di Aleena, forse la più strepitosa all’interno di Mindrevolutions: splendidi gli archi e gli organi di accompagnamento, a creare un’atmosfera sorprendente, con basso e chitarra a produrre i temi principali.
Dopo un pezzo di tale raffinatezza, il gruppo decide di inserire Timebomb e Remains of the Day a termine della sua fatica discografica del 2005: numerosi i riferimenti al Progressive degli anni ’70 e alla nuova generazione di bands che pongono la melodia alla base delle composizioni, quali Spock’s Beard e Threshold. Larghe sezioni appaiono quasi un Blues, su cui organi e chitarre agiscono senza indugio, conferendo passione all’intero lavoro.
Concludendo, si percepisce che Mindrevolutions, il ritorno che corona il trentesimo anniversario dell’esistenza dei Kaipa, sia stato studiato attentamente e senza lasciare nulla al caso, un full-lenght maturato dopo decenni di sperimentazioni da parte di Lundin e Stolt. Purtroppo però molti passaggi dovevano essere ancora finalizzati per raggiungere il culmine della produzione dei Kaipa, band che verrà per sempre rammentata dai cultori del Progressive per il contributo che ha dato nel far divenire il genere così vario e apprezzabile.