- Ian Curtis - voce
- Peter Hook - basso
- Bernard Sumner - chitarra
- Steve Morris - batteria
1. Atrocity Exhibition
2. Isolation
3. Passover
4. Colony
5. Means to an End
6. Heart and Soul
7. Twenty Four Hours
8. The Eternal
9. Decades
Closer
Se su Robert Smith grava il peso o il compito di descrivere la sensazione di essere prossimi ad un collasso interiore nell'esistenzialismo individuale, Ian Curtis si occupa del gravoso compito di esporci il suo singolare punto di vista sull'esistenzialismo sociale (Means to an End). I Joy Division sono geometrici, freddi, cinici. La razionalità lucida con cui animano le loro canzoni può essere terrificante...indurre allo sconforto alla disperazione per eccesso di realismo (Isolation).
Eppure vogliamo innamorarci di un ragazzo come Ian, convincerci che ha ragione ed accorgerci di quanto ce la mettesse tutta per scappare dal meccanismo della ciclica civiltà occidentale e per di più lasciare una porta aperta alla quale si sentiva egli stesso più vicino, closer.
L’opera si apre con Atrocity Exhibition e già ci accorgiamo di quanto il disco possa essere letto e ascoltato. Infatti i testi di Ian sono in grado di mettere in crisi un sistema letterario che ovviamente non vorrà mai ammettere la parte di ragione di Ian e quindi ce lo lascia in preda alla schizofrenia piuttosto che aprire le porte alla sua ricerca di gioia, alla via d'uscita che non ha mai cercato e probabilmente non avrebbe nemmeno voluto trovare limitandosi a lasciarci le sue testimonianze (Colony).
C'è molto delle aspirazioni al bello e al felice puntualmente frantumate dietro il rigido e a volte insensato comportamento della Working Class Britannica, che sicuramente è consapevole della mancanza di aspettative ma non è certo incline a farne una bandiera per il riscatto sociale ne tanto meno a trasformarlo in critico e serrato stendardo contro il movimento tutto della civiltà con la sua tendenza ad agglomerare ad appiattire piuttosto che donare identità e soggettività (Decades).
La strada che Ian segue è quella di un Punk enormemente calcolato più che furente...dalla quale l'effetto conflittuale che ottenevano i Sex Pistols, rinviene invece dalla geometricità dei riff e dalla esposizione della obiettiva consapevolezza della enormità e dell'abisso del divario (Passover). Posato più che rivoluzionario...manierato più che selvaggio, in cerca di una pulizia interiore che compensi le situazioni emotive borderline ed i compromessi (The Eternal).
Ian sembra in grado di far tessere ai suoi musicisti la struttura portante della farsa quotidiana e dell’ipocrisia che aleggia intorno e dentro facendolo trasformando il linguaggio dello spirito in linguaggio della moda poiché è un involucro il corpo che ospita il nostro spirito e trasformando l'evento in attesa dell'evento e continua preparazione ad un qualcosa che mai arriverà, che non ci sarà e non sarà mai e nell'attesa si possono giusto abbattere i valori di un uomo (Means to an End).
Perchè l'estetica dei Joy Division è fondata sul minimalismo, e sulla consapevolezza del finito. Sono sentimenti di orgoglio e di consapevolezza quelli che emergono. Le canzoni non portano alle lacrime...non c'è nemmeno quella dimensione da edonismo estetico che ovatta la nostra sensazione di vuoto con le bellezze ammiccanti delle cose... qui c'è la crudezza al posto dell'estetica... il vuoto dell'impatto senza sorrisi e senza gioie di un giovane verso le prime prese di posizione della sua vita nella società... e del suo spirito. Un'opera a metà tra verità, farsa sociale, spirito, sentimento, valore umano e servilismo (Heart and Soul).
Il tutto confezionato da un suono che prolunga di ancora dieci anni l'eco del Punk portandolo in un territorio molto diverso in cui il conflitto è tra autenticità e artificio...tra verità dell'uomo e inganno, tra spina dorsale e inchino: e non c'è la bellezza ad addolcire il tutto.