- Arnel Pineda - voce
- Neal Schon - chitarra, backing vocals
- Jonathan Cain - tastiere, backing vocals
- Ross Valory - basso, backing vocals
- Deen Castronovo - batteria, percussioni, voce
1. Never Walk Away
2. Like A Sunshower
3. Change For The Better
4. Wildest Dream
5. Faith In The Heartland
6. After All These Years
7. Where Did I Lose Your Love
8. What I Needed
9. What It Takes To Win
10. Turn Down The World Tonight
11. The Journey
12. Let It Take You Back (European bonus track)
Revelation
Insieme a pochissimi altri gruppi, come Toto, Boston, Survivor o Foreigner, i Journey possono considerarsi tra i primi storici esponenti di quella corrente della musica rock denominata AOR, nonché una delle sue massime espressioni in termini sia di importanza che di successo.
Nati nella metà degli anni ’70 come una sorta di supergruppo, in cui svettavano le figure di Neal Schon e Gregg Rolie, rispettivamente ex chitarrista e tastierista dei Santana, e di Aynsley Dunbar, il batterista di Frank Zappa, oltre alla presenza del valido polistrumentista Ross Valory, si imposero presto grazie al loro mix di jazz e progressive/hard rock ricco di fughe strumentali, chitarre e tastiere sfavillanti, sulla scia di quella forma primordiale di Adult Rock che sarebbe poi definitivamente esplosa a cavallo tra la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80.
Ed infatti, il loro trittico più grandioso e glorioso risale al periodo compreso tra il 1981 ed il 1986, quando in sequenza uscirono tre capolavori del calibro di Escape, Frontiers e Raised On Radio, album che con le loro numerose ed indimenticabili hit, tra le quali Don’t Stop Believin’, Open Arms, Separate Ways, Faithfully, Be Good To Yourself, portarono i Journey sulle vette più alte di tutte le classifiche e contribuirono in maniera decisiva a far raggiungere ad oggi la ragguardevole cifra di oltre 75 milioni di album venduti.
Ed è con immenso piacere quindi che qualsiasi fan o semplice conoscitore di questa leggendaria band potrà accorgersi che il nuovo Revelation si pone proprio sulla scia dei succitati masterpiece, grazie anche al timbro del nuovo cantante, il filippino Arnel Pineda, una sorta di epigone dell’indimenticato Steve Perry, scovato da Schon sul web in cui giravano con insistenza i video della sua cover band The Zoo. Infatti, dopo lo sfortunato e forzato abbandono del grande Steve Perry, il talentuoso Steve Augeri, reduce dal buon successo con i suoi Tall Stories, raccolse una difficile eredità che terminò in maniera altrettanto sfortunata per problemi di salute dopo il precedente e deludente Generations (2005), tanto che fu costretto ad abbandonare (pare definitivamente) la sua carriera di vocalist.
Se l’innesto di Augeri aveva costretto un po’ la band a rivedere il proprio sound, al contrario con l’arrivo di Pineda adesso la band californiana può tornare ai chorus memorabili ed alle sonorità ariose, solari e melodiche del più puro ed incontaminato AOR, quelle cioè che avevano permesso loro di raccogliere i più grandi consensi e successi. Per avere un saggio di quanto il timbro così simile a quello di Steve Perry del singer filippino incida sul buon esito del sound dei Journey, il confronto che emerge da Faith In The Heartland, nuova versione dell’opener del precedente Generations, calza proprio a pennello. Con tanto di cappello per il talento indiscutibile di Steve Augeri, non si può negare che l’interpretazione che ne dà del brano il nuovo vocalist risulta più vitale e coinvolgente, ma soprattutto più in linea con quello che era lo stile che ci aveva fatto innamorare dei Journey.
La ripresa dell’autentico “Journey-style” del resto è lampante fin dall’opener Never Walk Away, in cui si ha la netta impressione di rivivere i fasti di Raised On Radio, ponendosi questa un po’ come la nuova Be Good To Yourself, grazie alle sue melodie piene e solari e a quel chorus che sembra appartenere da sempre alla storia della band di San Francisco, come Like A Sunshower riporta alla mente le delicate ed avvolgenti atmosfere di Lights, mostrando anche la notevole estensione vocale di un Arnel Pineda che con i suoi vocalismi si proclama come il più degno ed autorevole successore di quel Steve Perry che rappresenta la storica voce dei Journey, mentre se volete rivivere i momenti più intimi, romantici e commoventi di Faithfully arriva in vostro soccorso l’immensa ed intensa After All These Years, un brano che da solo basterebbe a suggerire il loro ritorno ai più alti livelli.
Attenzione però, perché non si tratta di alcuna auto-citazione, si assiste semplicemente alla ripresa di quel modo di comporre ed eseguire musica che molto probabilmente tutti i loro fan stavano aspettando da anni, come se il nuovo arrivato di casa Journey fosse stato concepito e realizzato dopo quello storico e già citato trittico di best-seller, rispetto ai quali anche qualitativamente si pone subito appresso.
Ogni brano in sé è un piccolo e prezioso tassello di un album dal fascino micidiale, passando dal suggestivo inizio dell’energica e vitale Change For The Better, impreziosita dall’assolo fenomenale di Neal Schon, uno che non a caso alla tenera età di quindici anni fu reclutato da Carlos Santana, alla più particolare Wildest Dream, resa unica dalla convivenza tra le melodie solari da una parte e l’accattivante percussionismo e gli inserti “jazzistici” di piano elettrico dall’altra, prima di abbandonarsi ad un finale che pare un treno in corsa. Anche la più dinamica, ma sempre melodica ed ariosa, Where Did I Lose Your Love gira a pieni regimi, per merito anche della straordinaria prova di Deen Castronovo dietro le pelli, anche se è la band nel suo complesso ad essere ben rodata; ma pare davvero superfluo spendere parole sulle doti tecniche dei singoli, piuttosto preme citare il bel contrasto tra il suono muscolare delle chitarre e l’atmosfera tenera e malinconica ricreata dalle melodie della lenta What I Needed o l’altra bellissima ballad Turn Down The World Tonight, suggestiva ed emozionante nelle sue melodie sognanti e romantiche, in cui un plauso particolare va al lavoro del bravissimo Jonathan Cain con il suo piano, o ancora il bel mid-tempo What It Takes To Win, un pezzo che è una vera e propria dimostrazione di grande classe, mentre si chiude con il prog strumentale e suggestivo di The Journey (Revelation) e con la bonus track per il continente europeo Let It Take You Back.
Ampiamente convincente la produzione di Kevin Shirley, pulita, cristallina ed anche attuale, che in tal modo va a rappresentare una sorta di valore aggiunto, da sommare inoltre all’idea della Frontiers di immettere contemporaneamente sul mercato un album di vecchi successi affidati alla voce di Pineda ad accompagnare l’uscita di Revelation in doppio CD. Ma ciò che più conta ed importa è il ritorno dei Journey ad alti livelli, nella speranza che l’innesto del nuovo singer filippino sia definitivo e magari conduca ad una nuova gloriosa fase che dia il giusto seguito alla già trentennale carriera di questa leggendaria band.