Voto: 
9.4 / 10
Autore: 
Paolo Cazzola
Genere: 
Etichetta: 
Capitol
Anno: 
1971
Line-Up: 

- Ian Anderson - Flauto, Voce, Chitarra Acustica, Chitarra Elettrica

- Martin Barre - Chitarra Elettrica

- Clive Bunker - Batteria, Percussioni
- John Evans - Piano, Organo, Mellotron
- Jeffrey Hammond - Basso, Voce


Tracklist: 

1. Aqualung (06:31)

2. Cross-Eyed Mary (04:09)

3. Cheap Day Return (01:23)

4. Mother Goose (03:52)

5. Wond'ring Aloud (01:56)

6. Up To Me (03:18)

7. My God (07:10)

8. Hymn 43 (03:18)

9. Slipstream (01:13)

10. Locomotive Breath (04:25)

11. Wind Up (05:42)

Jethro Tull

Aqualung

Nell’enorme calderone di artisti e gruppi nati ed esplosi nell’Inghilterra di fine anni ’60 un posto di sicuro rilievo è occupato dai Jethro Tull. Negli anni d’oro del progressive e del rock inglese in generale, i Tull si discostano sia dagli stilemi classici dei gruppi rock ‘n roll tanto in voga in quel periodo, sia dalla maestosità e dalla ricercatezza del prog, creando uno stile personalissimo. Grande peculiarità della band è data dalla sua grandissima coerenza alla musica suonata, in quanto è sempre riuscita a tenersi su dei livelli compositivi molto alti senza mai sfociare nella banalità e nel commerciale più squallido, e dall’onnipresenza sulla scena fino ai nostri giorni.

Dopo tre dischi notevoli (tra i quali si ricorda l’ottimo Stand Up), nel 1971 è finalmente arrivato per i Tull il momento della consacrazione con Aqualung. Guidati dall’istrionica voce e dal flauto onirico di Ian Anderson, i Jethro Tull confezionano questo masterpiece del rock tutto, vero e proprio crocevia di hard rock, folk, progressive e blues.
L’artwork è ormai celeberrimo: il barbone raffigurato sulla copertina, con lo sguardo attento e con la mano sinistra nella tasca del vestito sono figure entrate di prepotenza nell’immaginario collettivo di qualsiasi amante del rock. Per altro, anche la scelta del termine Aqualung non è casuale, in quanto Anderson scelse di dare questo nome all’uomo in copertina, raccogliendo tutti i dubbi e le domande sul vero significato della parola.

La title track, nonché traccia di apertura del cd, parte a cento all’ora, in maniera frenetica e imprevedibile. Sorprendente in ogni sua parte, la canzone si presenta come una tra le migliori del lotto, disarmante manifesto di tutto il Tull-sound. Il tutto riassunto in sei note, quelle dell’ormai iperconosciuto riff iniziale.
Il flauto di Ian Anderson, che sembra librarsi in volo sulle righe del pentagramma, ci introduce alla seconda canzone del disco, ovvero Cross-Eyed Mary. Anche essa grande classico della band, è una canzone completa, strutturata in maniera ottimale e che entra quasi subito in testa. Qui finalmente vengono fuori tutte le capacità soliste e canore di Anderson, e più in generale, di tutto il gruppo, che ci regala una grande prestazione, impeccabile. La successiva Cheap Day Return, è un intermezzo folk di poco più di un minuto, sorretto da chitarra e voce, che ci introduce alla prossima canzone, ovvero Mother Goose. Anche questa si presenta come una canzone intrisa di atmosfera folk, nella quale tutti gli strumenti, tra cui chitarra classica e flauto si prendono i loro spazi, facendo salire qualitativamente il pezzo.
Wond’ring Aloud, secondo intermezzo acustico di gran pregio (arricchito dalla presenza di strumenti non convenzionalmente rock, come gli archi) ci porta verso Up To Me, sesta traccia del platter. Essa rappresenta tutto sommato il pezzo più blueseggiante di tutti quelli ascoltati precedentemente, col suo bell’incedere e con un Anderson che regala grandi momenti col suo flauto traverso. Un ascolto veramente piacevole, per una canzone che sicuramente non è una tra le migliori del disco, ma che non sfigura affatto accanto alle altre.

Non sfigura nemmeno se successivamente troviamo un colosso di nome My God. La canzone si apre con una chitarra classica che tesse soavi fraseggi, preparando il tappeto per la voce di Anderson e per il crescendo elettrico che avverrà da lì a poco. In questo pezzo, come in tutto l’album del resto, viene enfatizzato il tema della religione, e del suo rapporto con l’uomo. Il momento di pathos maggiore, e picco tecnico del pezzo è sicuramente l’assolo di flauto a metà canzone, supportato da cori maestosi. Il pezzo poi torna all’Hard Rock della prima parte, per poi chiudersi sulle note del flauto di Anderson.
Hymn 43 è un godibilissimo pezzo Hard Rock dotato di grande groove e impatto. Notevoli le prestazioni di ogni singolo componente del gruppo, ma da sottolineare quelle del chitarrista e del tastierista, sempre presenti al momento giusto. Il terzo intermezzo, ovvero Slipstream (forse il migliore dei tre ascoltati nel disco) ci accompagna verso Locomotive Breath. Un piano ed una chitarra sognante ci portano all’esplosione Hard Rock che si ripeterà per quasi tutto il pezzo. Grandissimo colosso della band, che viene riproposto quasi sempre in veste Live, si presenta come una delle migliori canzoni del lotto e una delle migliori di tutta la carriera dei Jethro Tull. Anche qui la presenza imponente del flauto di Anderson si fa sentire, specialmente in fase solistica, creando uno dei migliori assoli del disco.
Wind Up chiude degnamente il disco, grazie alla sua tranquillità e compostezza, che la rendono una tra le traccie più gradevoli. Grazie ad un crescendo magistrale, la canzone acquista grande groove e potenza, dimostrando (se ce ne fosse ancora bisogno) la grande versatilità e bagaglio tecnico dei Tull.

Al termine dei quaranta minuti di Aqualung non si può non rimanere soddisfatti ed estasiati. Il disco non ha pecche ne punti deboli, ma è formato da una serie di perle musicali, poste in sequenza perfetta, a formare un full-lenght che si può tranquillamente definire, senza mezzi termini, un capolavoro.
I Jethro Tull si impongono di prepotenza nella scena rock del periodo con Aqualung, che li porta ad un successo particolarmente grande e inaspettato. Uno tra i dischi più venduti di sempre in campo rock e sicuramente uno tra i più belli del periodo. Il resto è storia…

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