Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Emi Records
Anno: 
1981
Line-Up: 

- Paul di’Anno - Voce
- Steve Harris - Basso
- Adrian Smith - Chitarra Ritmica e Solista
- Dave Murray - Chitarra Ritmica e Solista
- Clive Burr - Batteria

Tracklist: 

1. The Ides Of March
2. Wrathchild
3. Murders In The Rue Morgue
4. Another Life
5. Genghis Khan
6. Innocent Exile
7. Killers
8. Prodigal Son
9. Purgatory
10. Twilight Zone
11. Drifter

Iron Maiden

Killers

Dopo l’uscita dell’omonimo debut la Vergine di Ferro s’imbarcò in un tour inglese di 51 date, e uno europeo (di supporto ai Kiss), per altre 24 date: il successo del debutto non portò, tuttavia, ad una maggiore stabilità a livello di line-up, poichè il secondo chitarrista Dennis Stratton si muoveva in direzione opposta al resto della band, perseguendo sogni più legati al Rock classico e fu estromesso dal grupp, seguendo la sorte di innumerevoli predecessori.
Ancora una volta Steve Harris si ritrovò a fronteggiare il problema di cercare un nuovo chitarrista: la scelta ricadde immediatamente su Adrian Smith, leader della band Urchin, una delle tante che cercava di emergere dal circuito NWOBHM londinese. Già in passato Steve aveva cercato di persuadere Adrian, che era però molto convinto del suo progetto e aveva cercato di portarlo avanti il più possibile; quella proveniente dai lanciatissimi Iron Maiden del 1980, però, era la classica "proposta che non si poteva rifiutare" ed il biondo axe-man andò ad affiancarsi a  Dave Murray, formando un’accoppiata vincente che rimarrà nota come una delle più ispirate e affiatate del mondo Metal: fin da questo loro primo disco assieme si può apprezzare (ad esempio sulla strumentale Genghis Khan), come si complementino ottimamente grazie ad un'ottima tecnica e ad un gran gusto negli assoli.

Completata così la line-up e presentato il nuovo chitarrista con (tanto per cambiare) dieci date in giro per l’Inghliterra, gli Iron Maiden si dedicano alla scrittura dei brani per il secondo, imminente album. Alcuni pezzi erano già pronti fin da prima delle registrazioni del loro primo disco (fra questi Wrathchild, Another Life e una versione grezza di Purgatory denominata Floating), così si potè entrare velocemente ai Battery Studios.
A livello di songwriting si nota come i brani siano, ancora, quasi esclusivamente opera di Steve, e soprattutto come ora siano maggiormente e più corentemente orientati al Metal (i pochi residui Punk sono definitivamente eliminati): a questa svolta collabora la presenza, in fase di registrazione, dell'esperto produttore Martin Birch: i suoni sono ora più rifiniti e compatti, ed esaltano la componente tecnica dei membri della band, creando un atmosfera più pulita e precisa (a giovarne è anche il drumming di Clive, decisamente convincente: esemplare la sua prestazione sulla già citata Genghis Khan), che tuttavia non intacca la pesantezza delle songs.
Altra nota da fare è sulla copertina: i Maiden (e il loro smaliziato manager Smallwood) capiscono l’importanza di avere un riferimento, un simbolo, e confermano Derek Riggs e il suo Eddie: la cover di Killers, dal fascino gotico e oscuro, è una delle più belle dell’intera produzione Maideniana, e mostra un Eddie 'definitivo', decisamente migliorato rispetto alla più rudimentale copertina dell'esordio.

Ad aprire è "Ides of March", una strumentale che funge da atmosferica preparazione per uno dei più grandi anthems del gruppo inglese: "Wrathchild" (forse il brano che meglio incarna la proposta musicale dei Maiden dei primi due dischi) è un brano la cui poderosa introduzione di basso è conosciuta a menadito da ogni fan della band, così come il rabbioso chorus, momento in cui il singer Paul di’Anno può mettere in campo tutta la propria aggressività. 
Altissimi standard anche per il brano seguente, un gioiello (purtroppo poco conosciuto) che risponde al nome di "Murders in the Rue Morgue": un'intro soffusa lascia presagire una ballad, ma di lì a poco il drummer Clive Burr comincerà a dettare il tempo introducendo chitarre molto ombrose; i cambi di tempo ed atmosfera sono molto coinvolgenti, così come il riffing, mentre le liriche sono ispirate all'omonimo racconto di Edgar Allan Poe, aggiungendo un tocco Dark ad un pezzo che, pur non essendo fra i più famosi, non ha nulla da invidiare alle più gettonate hits della band.

Il livello cala invece con "Another Life", episodio mediano che paga l’assenza di un chorus che ne risollevi le sorti: molto buone, ad ogni modo, le linee di basso e chitarra, in bella mostra durante l’accelerazione centrale.
"Genghis Khan" è il passaggio strumentale del disco: pur essendo meno celebrata delle “rivali” Transylvania e Losfer Words, è in realtà uno dei momenti di massima  brillantezza degli Iron Maiden: tutti i musicisti offrono una prestazione sontuosa, sia durante la cadenzata marcia iniziale che nelle brucianti accelerazioni, premesse ad un finale più atmosferico (che poteva magari essere sviluppato più a lungo) in cui cantano le chitarre soliste.
Il pezzo più debole del lotto, "Innocent Exile", di livello scarso, paga una struttura scontata e linee vocali poco accattivanti, risultando agli antipodi rispetto agli eccelsi standard della title track: "Killers" è uno dei pezzi migliori della band, anche perchè aperta da una orrorifica introduzione (un tenebroso basso e le grida di Paul) che fa da preludio ad un brano estremamente vario, dotato di parti chitarristiche perfettamente legate al macabro tema trattato: il fiore all’occhiello è l'assolo, uno dei più esplosivi della coppia Smith-Murray.

"Prodigal Son", la ballad di rito, scorre via senza infamia nè lode, essendo priva di particolari sussulti, forse perchè troppo lamentosa rispetto all'atmosfera generale; molto più entusiasmante è la successiva "Purgatory", che 'strappa' rispetto alle tenere atmosfere appena ascoltate: up-tempo rapidissimo, basso lanciato a tutta birra, chitarre veloci che duellano con splendide melodie, un bridge assolutamente spettacolare (che rimedia ad un chorus poco efficace): ingredienti quasi perfetti, per una killer-song (di nome e di fatto) che fu incredibilmente lasciata fuori dalla tracklist primigenia. La decima "Twilight Zone" è uno dei tre singoli estratti dall'album, assieme a Purgatory e Wrathchild: pur essendo meno ispirato degli altri due, rimane un brano di buona qualità, in cui a fare la differenza è Paul di’Anno, con piacevoli armonie che non fanno calare l’attenzione; si conclude in grande stile con "Drifter", un Hard Rock granitico e travolgente, ideale gemello del pezzo di chiusura del disco precedente.

Dopo questo disco si chiuderà un'era per gli Iron Maiden, poichè l’arrivo di Bruce Dickinson permetterà ai Maiden di compiere un grande salto a livello di suono e popolarità: andrà persa uell’atmosfera un po’ “underground” -passatemi il termine- e Rockeggiante che era garantita dalla voce di Paul di’Anno. Si arriverà a un Metal più epico e strutturato, in cui non v'è posto per le leggere influenze Punk del primo disco e per quelle Hard Rock che vagamente affiorano in questo secondo
I nostri, dunque, cambieranno (se in meglio o in peggio, sta a voi deciderlo), trasformandosi in una macchina perfetta che sfornerà dischi a ripetizione, osannati da pubblico e critica: ciò non toglie che gli Iron Maiden non siano solo quelli dell’era-Dickinson, e che "Killers" e "Iron Maiden" meritano un posto d’onore nella discografia di qualsiasi amante del Metal ottantiano.

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