- Gary Hughes - voce, tastiere, chitarra, basso, programmazione
- Johnny Gibbons - chitarra
- Chris Francis - chitarra
- John Halliwell - chitarra
- Rick Stewart - basso
- Simon Brayshaw - basso
- Jason Robinson - batteria
- Dave Ingledew - batteria
1. Veritas
2. See Love Through My Eyes
3. In My Head
4. Time To Pray
5. Wide Awake In Dreamland
6. I Pray For You
7. Synchronicity
8. Strange
9. All I Want Is You
10. I Know It's Time
11. The Emerald Sea
12. The Everlasting Light
Veritas
A quattro anni di distanza dal progetto colossal Once And A Future King, si ripresenta il cantante dei Ten Gary Hughes con questo Veritas, che rappresenta il quinto album della sua carriera solista, inaugurata nel 1989 con Big Bad Wolf ed interrotta nel 1998 con Precious One.
Veritas è un album che spiazza totalmente chi conosce ed ha seguito Gary Hughes o i suoi Ten, probabilmente a causa anche di una produzione inadeguata ed un po' soffocata, lontana dagli standard solitamente imposti da una qualsiasi uscita melodic hard o AOR, ed anche a livello compositivo il singer e songwriter inglese mostra un approccio alquanto vario ed eterogeneo, che, come avremo modo di vedere, spazia su più fronti pur mantenendo un'impronta di base ancorata al rock melodico. Ed infatti possiamo affermare di non trovarci di fronte ad una release etichettabile come AOR o melodic hard, ma piuttosto si tratta di un concentrato di rock melodico che si serve spesso di soluzioni pop e tinte dark, movendosi tra "lite AOR", pop-rock, soft rock e persino momenti vicini al synth pop e alla new wave degli '80, sempre però penalizzati dall'approssimativa ed offuscata produzione.
A primo impatto l'album scorre via quasi inosservato, lasciando anche parecchio indifferenti, ma in realtà esso viene fuori pian piano con gli ascolti, facendosi anche apprezzare in alcune eleganti e piacevoli soluzioni melodiche, nonostante presenti anche qualche momento poco incisivo e coinvolgente e risulti nel complesso un po' tedioso e soporifero, a causa probabilmente anche della massiccia presenza di slow-tempo.
Aperto da un'ipotetica hit AOR come la title-track, un mid-tempo caratterizzato da tastiere imponenti, melodie piene e chorus melodici, a cui però non viene resa giustizia dalla discutibile produzione, Veritas svaria poi su più fronti, insistendo spesso sulle tastiere, sui synth, su atmosfere dark e suoni campionati, ricreando così brani che sembrano provenire da quegli anni '80 che vedevano al massimo dello splendore la new wave e il synth-pop, su tutti I Pray For You, che comunque può considerarsi uno dei brani più piacevoli del lotto, e Strange, un brano che potenzialmente poteva essere migliore ma che alla fine risulta purtroppo uno scialbo ed inconsistente pezzo pop-oriented.
Strofe monotone e dal retrogusto dark sia in In My Head, fortunatamente affinata da un refrain che sa di liberatorio, sia in Time To Pray, che purtroppo non si riprende neanche nel ritornello, mostrandosi così come un pezzo davvero modesto, nonostante le non cattive linee melodiche, le quali lasciano ancora una volta il dubbio che forse si sarebbe potuto far di meglio, dubbi che diventano certezze quando le delicate e trasognate melodie della lunga Synchronicity vengono purtroppo trasformate in una lagna terribilmente noiosa e pervasa da cori che sembrano quasi una ninnananna.
Di gran lunga migliori appaiono invece quei brani che più si rifanno alla tradizione melodic hard, AOR e lite AOR, come avviene in See Love Through My Eyes, che comunque continua ad approdare a quelle soluzioni sopra accennate, ma meglio amalgamate con il suo melodic rock, o la stupenda ballad Wide Awake In Dreamland, senza ombra di dubbio il punto più alto della presente release, un brano malinconico, nostalgico e particolarmente intimista, graziato da una melodia da brividi e da un refrain armonioso e memorabile, mentre il melodic hard di David Coverdale o dei suoi Whitesnake esce allo scoperto in All I Want Is You, bel brano melodico ed efficace, tormentato e grintoso al contempo, come un plauso va tributato all'AOR-oriented I Know It's Time, il brano più diretto e radio-friendly del lotto. Tutti questi brani non fanno altro che innalzare vertiginosamente le quotazioni di un album che altrimenti rischierebbe di sprofondare incredibilmente, anche e soprattutto a dispetto delle alte aspettative.
A completare la parziale ripresa qualitativa di Veritas il buon Hughes cerca di piazzare sul finire gli ultimi colpi, e se il tentativo non dà in pieno i suoi frutti con The Emerald Sea, che sembra quasi un indeciso mix di synth-pop ed AOR, riesce un po' meglio invece con la closer e ballad The Everlasting Light, che comunque si assesta più di una spanna sotto l'altra ballad, forse anche per il fatto che più si va avanti e più l'eccessiva presenza di tempi lenti stanca ed annoia.
Alla fine dell'ascolto si rimane allora con l'amaro in bocca e con l'impressione, se non la consapevolezza, che Gary Hughes possedesse tutte le potenzialità per poter fare di meglio. Certo alla fine si tratta pur sempre di un album carino ed a tratti anche parecchio piacevole, grazie anche alle ricercate e carezzevoli melodie, ma che mostra anche qualche punto debole da non sottovalutare, in particolare l'insita tediosità, e scelte alquanto discutibili, soprattutto per quel che riguarda la produzione.