- Brian Borcherdt – synth, effetti
- Graham Walsh – synth, effetti
- Matt "Punchy" McQuaid – basso
- Matt Schulz – batteria
1. 1MD
2. Red Lights
3. Latin America
4. Stay Lit
5. Silva & Grimes
6. SHT MTN
7. Stilettos
8. Lucky
9. P.I.G.S.
Latin
Il delirio sintetico targato Holy Fuck ritorna, per la gioia dei più folli appassionati, ad infestare il panorama avantgarde-elettronico internazionale. Chi due anni fa ebbe la fortuna di ascoltare il misconosciuto LP sa di cosa sto parlando e sa che il gruppo in questione non è un complesso qualunque, non è un ritrovo di ubriaconi fancazzisti smarriti tra insensati aneliti intellettualistici, ma una band (quasi) unica e, ora come ora, inimitabile.
Se già da LP (2007) e dalle precedenti releases (sottoforma di Ep, split e collaborazioni) si percepiva la forza e l'inarrestabile visionarietà del progetto canadese, Latin riassembla con la solita vena creativa il linguaggio e le bizzarrie della creatura di Brian Borcherdt & co., evolvendo ancora di più uno stile estremamente versatile, dinamico e - mai come in questo caso - alla disperata ricerca della 'citazione' colta. Citazione che sin dalle prime note dell'album riporta alla mente la Germania settantiana del krautrock e, nella fattispecie, il devastante onirismo dei Neu! e le seminali profezie elettroniche - qui rielaborate in una veste moderna ma al contempo sfacciatamente retrò - dei Kraftwerk (Stilettos altro non è se non un semiplagio ai geni di Düsseldorf aumentato di parecchi bpm).
Latin è senza dubbio un lavoro più violento - o meglio, impetuoso - rispetto al precedente, del quale comunque ricalca a grandi linee le principali coordinate compositive pur rielaborandole in un linguaggio più prettamente sintetico, a sua volta arricchito da continue trance psichedeliche e da uno spasmo ritmico ancora più pressante e travolgente.
A rendere valida la nuova creazione degli Holy Fuck (più che le pseudo-colte reminiscenze psych/kraut) è l'impeccabile
e visionaria interazione tra strumentazione reale e dimensione elettronica che gli statunitensi elaborano precisamente sin nei minimi dettagli: se da una parte le ardimentose costruzioni sintetiche di Brian Borcherdt e Graham Walsh affogano Latin in un'atmosfera luminosa e artificiale, l'apparato ritmico degli Holy Fuck (Matt McQuaid al basso e il davvero eccellente Matt Schulz alla batteria) dona al disco delle sembianze decisamente più umane, nonostante a tratti si percepisca quasi un cambio di ruoli e di funzionalità espressive tra le due dimensioni.
Ora più voluttuose, astratte e dense di onirismo (l'ambient lisergico dell'opener 1MD, la splendida oasi onirica di matrice kraut di Silva & Grimes, la luminosità di Latin America ) ora più metropolitane e moderne (la notwistiana e toccante Stay Lit, le travolgenti pulsazioni electroclash di SHT MTN e P.I.G.S. e le più stranianti atmosfere di Lucky) le scorribande sintetiche degli Holy Fuck trascinano l'album in un vortice impazzito di suoni e atmosfere, abbattendo con disinvoltura qualsiasi barriera stilistica e ritrovandosi così sospeso tra fascinose cavalcate - perdonatemi il neologismo - funkytroniche (la bizzarra Red Lights) e distensioni psichedeliche dal retrogusto fortemente lisergico.
Discese free-form, inasprimenti sintetici presi in prestito dalla più acida elettronica da ballo moderna, allucinazioni kraut, ritmiche jazzy e richiami art/prog rock sono quindi l'esoscheletro (come non mai robusto) su cui gli Holy Fuck costruiscono man mano Latin, presentando del materiale indubbiamente positivo ed emozionante ma che a tratti stenta a decollare, rischiando qualcosina di troppo nel suo lavoro 'citazionista' e perdendo qualche colpo per una ripetitività espressiva sicuramente migliorabile.
Ad ogni modo l'ultima creazione degli Holy Fuck rimane un prodotto ben fatto e sapientemente costruito, sebbene la sua natura estremamente di nicchia non ne agevolerà di certo una vasta fruizione in termini di pubblico e ascolti. Per apertura mentale e versatilità compositiva, Borcherdt e soci si (ri)confermano comunque come un act assolutamente peculiare nell'odierno scenario avant-elettronico ed è per questo che lasciarli passare inosservati (discorso applicabile solo a noi europei, visto il loro successo dall'altra parte dell'Atlantico) è una cosa di cui un giorno, magari, potremmo pentirci amaramente.