Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Andrea Evolti
Genere: 
Etichetta: 
Metal Heaven/Frontiers
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Daniel Heiman - voce
- Fredrik Olsson - chitarra
- Tommy Larsson - basso
- Ufuk Demir - batteria
- Martin Andersson - chitarra


Tracklist: 

1. Heed Hades (intro)
2. I Am Alive
3. Last Drop Of Blood
4. Ashes
5. Enemy
6. Salvation
7. Tears Of Prodigy (Fallen Angel)
8. The Other Side
9. Hypnosis
10. Moments
11. The Permanent End Celebration
12. Nothing

Heed

The Call

Un debutto che sa di rinascita. Per Daniel Heiman e Fredrik Olsson, rispettivamente voce e chitarra, o meglio, ex-voce ed ex-chitarra dei Lost Horizon, The Call, album di debutto della loro nuova creatura Heed, è veramente una rinascita, soprattutto stilistica. Infatti l’opener I Am Alive, che segue l’intro Heed Hades, mostra quando sia notevole il salto di qualità dai ‘famosi’ Lost Horizon, una band assolutamente convenzionale di speed melodico europeo, ai ‘novelli’ Heed: power/prog intenso, possente e lirico, dove molte ed eterogenee influenze di metal classico convergono per formare un’opera ricca di sfaccettature.

Chitarre possenti, granitiche e melodiche al tempo stesso, con pregevolissimi assoli, ricchi di gusto, sono la base di brani come Enemy o Last Drop Of Blood: una sorta d’incrocio tra Nevermore, Elegy, Helloween periodo The Dark Ride e Better Than Raw. In brani, poi, come Moments, dal quale incipit fanno capolino anche i Dream Theater di Awake, le linee vocali pescano certamente nella tradizione speed europea, ma irrobustite dalla ‘contaminazione’ anglo-americana, (Shadow Gallery, Kamelot ed, in alcuni frangenti, anche Queensryche). Sugli scudi qui, il cantante Heiman, tecnico, potente e meravigliosamente epico ed espressivo, con passaggi che possono richiamare, anche se è assente quella nobile oscurità, i Veni Domine. Con Hypnosis, uno dei brani più tirati, si vede come la chitarra di Olsson e del suo compagno Martin Andersson, oltre che più articolate e fantasiose rispetto alla pletora di band speed/melodiche che saturano il mercato, mostrino un’aggressività di stampo power U.S., che viene alternata da power-riff quasi thrash in tempo medio ed ultrastoppato, come in The Permanent End Celebration. Plauso anche al bellissimo lavoro della sezione ritmica, guidata dal batterista Ufuk Demir, splendido nei sui giochi di ride e nei raggruppamenti di doppia cassa. Bell’album, classico ma non convenzionale, con tanti spunti interessanti e belle idee, realizzate da ottimi musicisti. Un disco da ascoltare con attenzione...come minimo. Dopo la fine della dodicesima traccia lasciate scorrere…una traccia fantasma che vi sorprenderà.

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