- Dan Barret, Tim Macuga - voce, programming, basso, chitarra
1. Wizard of the Black Hundreds
2. Woe Unto Us
3. The Parhelic Circle
4. The Icon and the Axe
Time of Land
Oramai, dopo la monumentale uscita di Deathconsciousness (già due anni sono passati da quel capolavoro), ogni lavoro degli Have a Nice Life viene atteso - essenzialmente dagli appassionati più sfegatati - in maniera quasi viscerale: quello di Dan Barret e Tim Macuga è in fondo diventato un vero e proprio fenomeno, un culto underground fortemente separato dai riflettori del mercato musicale 'di superficie' e che ogni anno continua a fare sempre più adepti.
Il problema è che - dopo il doppio Ep Voids dell'anno scorso - il progetto statunitense tradisce per la seconda volta (in termini di piattaforma, non di qualità) le aspettative dei propri fan, rinunciando nuovamente alla realizzazione di un full-lenght e concentrandosi piuttosto su un altro Ep. Time of Land prende vita nei primi mesi del 2010 e viene completato con grande velocità da parte dei due musicisti americani, capovolgendo di conseguenza quella situazione di lento e interminabile processo creativo in cui era avvolto Deathconsciousness.
A formare la struttura dell'Ep vi sono sole quattro tracce inedite (una in meno rispetto al precedente lavoro) che fungono da collante e da completamento per le atmosfere e le soluzioni messe in mostra da Barret e Macuga nelle prime due pubblicazioni. Se infatti Voids (ovviamente si intende il suo secondo "capitolo" di inediti What Happened Next Was Worse) di Deathconsciousness riprendeva essenzialmente lo spirito dark/post-punk, fatto di batterie pulsanti, atmosfere tese e chitarre distorte, Time of Land approfondisce al contrario il lato più sotterraneo e 'mistico' degli Have a Nice Life, immergendosi quasi completamente in un corposo mare drone-ambient. Wizard of the Black Hundreds mette da subito in luce questo taglio meno rock, dilatandosi in tutti i suoi otto minuti in un'ipnotica e sommessa marcia di atmosfere sottilissime (la lenta apertura ambientale) e droni avvolgenti, seppur tutt'altro che innovativi e originali rispetto a quanto già fatto vedere dal duo statunitense. Alla stessa maniera, la terza The Parhelic Circle rifiuta nuovamente le scorribande post-punk del passato e si concentra in un inquietante rituale ambientale, molto influenzato dalle suggestioni sotterranee e dall'atmosfera gelida del sound dei Labradford. A riportare indietro la mente verso il cuore maggiormente dark wave di Deathconsciousness e Voids è invece Woe Unto Us, episodio sicuramente trascurabile per via della sua eccessiva somiglianza con le creazioni del precedente Ep, del quale riprende in maniera palese l'impostazione strumentale e anche vocale. Discorso simile va fatto infine anche per la conclusiva The Icon and the Axe, in cui il sound post-punk viene però maggiormente rallentato e dilatato, oltre che arricchito da un'atmosfera molto più onirica e meno ruvida.
In definitiva Time of Land, proprio a causa dei pochi stimoli che vi sono alla base, va visto come un'uscita tutt'altro che necessaria, come un lavoro del quale si poteva fare tranquillamente a meno ma che, probabilmente, gli Have a Nice Life hanno voluto portare a termine per mantenere viva l'attenzione dei fan nei loro confronti, visto che oramai l'attesa per il nuovo full-lenght sta diventando quasi spossante. Insomma, interessante per gli ascoltatori più accaniti, trascurabile per tutti gli altri.