Peter Dolving - Voce
Patrik Jensen - Chitarra
Anders Björler - Chitarra
Jonas Björler - Basso
Per M. Jensen - Batteria
1. Moronic Colossus
2. Pieces
3. Little Cage
4. Trenches
5. Ceremony
6. Skuld
7. Crusher
8. Rivers Run
9. Iron Mask
10. Faultline
11. Imperial Death March
Versus
Il thrash, o post thrash, targato Europa ha nei The Haunted uno dei suoi più fieri esponenti. La band svedese, nata dalle rovine di un gruppo storico per la scena extreme come gli At the Gates, ha saputo coniare un sound che rielaborava convincentemente il thrash metal e alcuni elementi death degli esordi, ritagliandosi una fetta importante di ascoltatori, anche fuori da quella scena death metal melodica che in Svezia ha scritto buona parte della sua storia.
Con questo Versus obiettivi e atteggiamento non sono cambiati. Ci troviamo di fronte a un prodotto monolitico e convincente, le cui undici tracce dimostrano come la vena artistica della band sia ancora più che fertile. Uno dei maggiori pregi dei fratelli Björler e compagni sta nel non piegarsi troppo a quelli che sono i canoni del genere che suonano, facendo sì uso degli elementi classici che caratterizzano il thrash, ma bilanciandoli con un buon innesto di idee progressive come clean vocals, rallentamenti ritmici e altri accorgimenti a livello di arrangiamenti che diversificano il risultato senza snaturarlo, come troppo spesso avviene per altri acts.
E così sì a riff che vanno a toccare diverse sponde, dal thrash al death, preminenti, fino all'heavy, e sì ancora a deviazioni e invenzioni, ma senza divagare troppo, come già i primi pezzi, Moronic Colossus e soprattutto la seconda, ottima, Pieces, con il suo riff diretto e coinvolgente, mettono in luce. Ondate thrash che reggono la struttura dei brani, e poi qualche decelerazione, qualche chitarra più melodica, e un ritrovato Peter Dolving che si cimenta su più fronti, dalla voce sporca a quella melodica (anche se il termine in sé è fuorviante, non pensiamo a Corey Taylor o Matt Heafy) fino al parlato. Accanto al grido di angustia thrash e alla rabbia death non mancano poi episodi leggermente più ruffiani, come Ceremony, dove le chitarre e la sezione ritmica strizzano l’occhio al passato in modo più marcato, ma senza strafare. E anche gli episodi più sperimentali, come gli arpeggi di Skuld, quasi una ballata, non deludono affatto, aiutando anzi a spezzare il ritmo incalzante su cui si regge l’intero album.
Un plauso infine al lavoro fatto in sala di registrazione, che da maggiore profondità a ogni brano, dando risalto certi elementi, specialmente basso e voce, che risultano fondamentali nell’economia dei singoli brani.
Consigliato in particolare a chi ha voglia di ascoltare qualcosa che riesca a suonare classico e moderno al tempo stesso, esperimento che raramente porta a risultati così convincenti.