Voto: 
7.7 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Hateistheenemy
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Brian Cash

- Elis Czerniak

- Tim Czerniak

Tracklist: 

1. Land/Sea/People

2. Blood Branches

3. Darling, You'll Meet Your Maker

4. Growing & Glow

5. The Little Octoberist

6. Only Safe Landings

7. Haunt Me When I'm Drowsy

8. The Wellwisher

9. I Raise Bears

10. Don't Send Your Kids to the Lakes

11. Mountain Bell

Halves

It Goes, It Goes (Forever and Ever)

Gli irlandesi Halves iniziano a farsi notare nel 2008 con due EP, l'omonimo e Haunt Me When I'm Drowsy, che consentono loro di ingaggiare come produttore Efrim Menuck (già alle spalle di celebri acts post-rock come Godspeed You Black Emperor o A Silver Mt. Zion)
L'esordio It Goes, It Goes (Forever and Ever) avviene nell'ultimo trimestre 2010 ed è probabilmente la rivelazione post rock dell'anno, riuscendo a trovare qualcosa da dire in un settore fin troppo saturo, prevedibilmente monotono, e andando a superare anche i connazionali God Is an Astronaut.

Album atmosferico e particolareggiato, con contrappunti sonori di strumenti classici eleganti e tipica aura malinconica senza scadere in sentimentalismi faciloni, It Goes It Goes rientra sia in quella cerchia di dischi che propongono un post rock contornato da elementi da chamber-music sia in quella che diluisce e rende più evocativi i brani con diverse tinte ambient, che in quest'ultimo caso riconducono spesso a influenze di sigurrossiana memoria. Il fine però si differenzia, laddove il gruppo islandese ricostruiva soundscapes eterei e cristallini, con una malinconia dall'innocenza quasi fanciullesca, gli Halves invece suonano relativamente più cupi, quasi pessimisti in certi frangenti ma sempre mantenendo fra le righe una dolcezza palpabile con mano, come a scandagliare (e rappresentare) le particolari emozioni vissute dall'uomo in un panorama a metà strada fra la ruralità e la modernità.
Difatti uno dei punti più interessanti dell'album è la contrapposizione fra infiltrazioni di strumenti classici, che fanno capolino ogni tanto come contorno di classe con un'orchestrazione organica e sempre dosata, e fra tenui e sottili spruzzi di elettronica a levigare il tutto.
Il songwriting si rivela solido e naturalmente sempre morbido e delicato, finendo per quest'ultimo motivo per risultare ogni tanto un po' di maniera, ma i brani sono tutti costruiti con cura certosina nelle atmosfere, senza sfociare in un tedioso ripetersi dello schema soft/loud bensì stratificando gradualmente umori dolceamari, accompagnamenti orchestrali, lievi fraseggi degli strumenti rock e inserti tastieristici.

Si comincia dunque con Land/Sea/People, dove riverberi ambientali lasciano spazio a timidi intrecci acustici e rarefatti vocalismi di Tim Czerniak che collegano il gruppo ai Sigur Ròs. Piccole bollicine elettroniche enfatizzano l'aura emotiva e malinconica del pezzo prima di un climax finale che assume toni speranzosi, stabilendo le coordinate generali sul quale l'album si focalizza.
La breve Blood Branches gioca sulla malinconia generata dal connubio fra il pianoforte rarefatto e i tenui strumenti folkloristici, con percussioni ovattate come collante, ricordando vagamente dei Tenhi più morbidi e mescolati agli Explosions in the Sky.
Segue ora la tenebrosa Darling You'll Meet Your Maker, con lente guest vocals spettrali di Phil Boughton dei Subplots. La chitarra acustica e la fisarmonica sono minimali, creando le fondamenta di un'aura opprimente che sono poi i piccolissimi glitch elettronici ad enfatizzare.
Growing & Glow è uno degli episodi più emozionanti, uno spazio dalle atmosfere desolate su cui si innestano ritmiche intriganti e spunti melodiosi che sembrano come una luce che squarcia le tenebre - soprattutto il duetto con voce femminile finale prima di un'esplosione distorta sonoramente attenuata, ma emotivamente intensa.
Si passa ora alle sensazioni oniriche e notturne di The Little Octoberist, con filtri vocali kraftwerkiani dilatati che si appoggiano sull'elettronica minimale, mentre sullo sfondo si intrecciano archi e chitarre clean per dipingere uno scenario struggente, in bilico fra il passato (la natura) e il futuro (la tecnologia), sublimando poi nella breve coda con riverberi da shoegazers e intensa batteria.
L'elettronica soft di Only Safe Landing ricorda i Radiohead della seconda metà di carriera, ma con tinte più autunnali e climax onirici che si ricollegano ai Sigur Ròs.
Tocca ora a Haunt Me When I'm Drowsy, uno dei pezzi più malinconici e soffusi, molto delicata, ad un certo punto quasi noir e con climax d'archi forse un po' troppo melenso dopo una parentesi atmosferica sepolcrale.
Dopo la tutto sommato poco incisiva The Wellwisher (sullo standard fino ad ora incontrato, formalmente impeccabile ma stantia), a catalizzare l'attenzione è I Raise Bears, con droni elettronici cupi d'accompagnamento al duetto con Katie Kim, una sorta di lenta marcia funebre elettro-ambient spezzata dal dipanarsi da metà traccia in poi degli elementi più sognanti della musica che stemperano il tutto.
La breve parentesi orchestral-ambient di Don't Send Your Kids to the Lake è, ancora, perfetta nella forma, con pregevoli inserti sonori e suspance di fondo, ma a questo punto non dice più di quanto già detto da molti compositori di soundscapes.
La conclusione dell'album è dato dalla pregevole Morning Bell, oscura suite dove la batteria intermittente e i synth cupi che emergono dalla notte costruiscono una sensazione di angoscia e solitudine, mitigata poi dai dolcissimi riverberi e dalle linee vocali a la (forse troppo) Jònsi, prima di un canonico crescendo finale che culmina in un climax emotivo efficace ma anche qua forse un poco troppo vicino ai Sigur Ròs.

Comunque sia, quello degli Halves è forse l'esordio post rock più convincente negli ultimi anni da parte di un gruppo non proveniente dai grandi paesi anglosassoni (assieme ai Mooncake e ai Long Distance Calling) e fra le migliori uscite del settore nel 2010, accanto a gruppi già affermati come Ascent of Everest, post harbor o Crippled Black Phoenix.

NUOVE USCITE
Filastine & Nova
Post World Industries
Montauk
Labellascheggia
Paolo Spaccamonti & Ramon Moro
Dunque - Superbudda
Brucianuvole
Autoprod.
Crampo Eighteen
Autoprod..
BeWider
Autoprod..
Disemballerina
Minotauro
Accesso utente