- David Reece - Voce solista;
- Martin Kronlund - Chitarre, voci;
- Rikard Quist - Tastiere, voci;
- Mats Bostedt - Basso;
- Imre Daun - Batteria.
01. Final call
02. Nothing really matters
03. Angels
04. When I call your name
05. Don't look back
06. Fired
07. A little ain't enough
08. All the way to the sun
09. A million miles
10. Liar
11. Another world
12. Hellhammer
Another World
Martin Kronlund è sicuramente un gran personaggio, ottimo chitarrista, ottimo produttore, insomma uno che crede ciecamente in ogni progetto cui si imbatte, soprattutto quello che porta il nome di Gypsy Rose, gruppo formatosi nel lontano 1981 del quale il buon Kronlund è leader inconstrastato.
Il gruppo che vede la luce nella fredda Molnlycke in Svezia avrà tuttavia una storia tormentata che lo porterà ad incidere il primo lavoro solamente nel 2005, nonostante un contratto discografico firmato a metà degli 80 con una etichetta belga per la quale verrà realizzato un disco mai pubblicato a causa di alcuni problemi propri dell'etichetta discografica. Presi sotto cura da un produttore americano per i cinque sembra arrivare la svolta, ma anche in questo caso tutto si perde nella classica bolla di sapone lasciando ai ragazzi parecchio amaro in bocca.
Si va avanti così fino al 2004 quando finalmente il gruppo ha una chance che stavolta va in porto , tanto da riuscire a pubblicare l'anno successivo l'omonimo album di debutto che fa conoscere la band agli appassionati di melodic rock.
I cinque sono attratti dalle sonorità di gruppi tipo Thin Lizzy, Raimbow e Deep Purple e tanto basta soprattutto se si pensa ad alcune esperienze di Kronlund con Ken Hensley, storico tastierista degli Uriah Heep.
Risulta incredibile anche il fatto rappresentato dalla line up, rimasta praticamente la stessa nonostante la lunghissima gavetta, almeno fino al disco di esordio, line up che comprendeva oltre al già citato Kronlund, anche il cantante Hakan Gustaffson, il tastierista Rikard Quist, il bassista Mats Bostedt ed il drummer Imre Daun.
Per questo Another World il gruppo presenta un nuovo vocalist che risponde al nome del navigato ed espertissimo David Reece, che molti appassionati ricorderanno con i Bangalore Choir, i Sircle of Silence, ma soprattutto per la sua esperienza, verso la fine degli anni 80 con gli Accept, con i quali incise il controverso "Eat the heat", spaccando letteralmente in due tronconi i fans dello storico combo tedesco, che mal digerivano un' ugola diversa da quella di Udo Dirkschneider. Tuttavia Reece è sicuramente un ottimo cantante e l'unica cosa che gli si può rimproverare in questo disco è l'avere voluto inserire a chiusura dello stesso una cover di Hellhammer, già presente nell'abum di Acceptiana memoria, come a voler ricordare a chi non lo conoscesse la sua esperienza forse più conosciuta.
Si tratta di una cover trascurabilissima nel senso che la musica dei Gypsy Rose, si muove in direzioni ben più variegate rispetto a quelle dei teutonici, abbracciando idealmente le sonorità dei già citati Raimbow, ad uno spiccato gusto power melodico, che a volte va a toccare alcune idee di stampo neo classico, vedasi l'iniziale Final call, che in alcuni passaggi ricorda un celeberrimo chitarrista svedese oggi un pò in disarmo (Yngwie Malmsteen).
Ma è in generale tutto l'album a suonare in maniera più robusta rispetto al suo più che discreto predecessore, soprattutto risultano molto ben bilanciate la parti chitarristiche con gli inserimenti di Rikard Quist alle tastiere che completano il suono, lo incorniciano senza invadere il lavoro di Kronlund, vero protagonista di Another World. Ottime Nothing really matters e la title track, che mi hanno fatto venire in mente alcune cose dell'ultimo Jorn Lande, cosa che si riscontra parzialmente anche in All the way to the sun, mentre sottotono risulta essere la ballata When I call you name, che, visti i musicisti impegnati nel progetto poteva dare risultati ben migliori. Meglio allora darci sotto con la cadenzata e potente Don't look back, che prende a piene mani dalle sonorità di fine anni 70, non risultando mai banale e impreziosita da ottimi cori e da un gran lavoro di Martin Kronlund o la più agile Fired, dove Reece dà il meglio di se.
Si tratta quindi di un notevole passo avanti rispetto al primo album del gruppo, e certamente l'esperienza di un vocalist come David Reece, deve avere avuto una percentuale notevole nel risultato finale di un album che si pone sicuramente, almeno fino a questo momento come tra le migliori uscite nel panorama hard rock di quest'anno. Il disco è consigliatissimo a coloro che amano principalmente i Rainbow (epoca Joe Lynn Turner) ed il nuovo hard rock di questi ultimi tempi, ispiratissimo a quelli che furono i maestri del genere, ma tenendo d'occhio le novità tecnologiche che ne hanno reso il suono davvero levigato e potente, grazie ad un certosino lavoro di produzione che rende il disco davvero adatto per essere ascoltato a volume altissimo mettendo in evidenza l'ottimo bilanciamento degli strumenti, fatto questo non secondario nonostante il boom di I-pod ed mp3, che tendono, causa compressione dei suoni a sottovalutare l'aspetto finale del prodotto, che in questo caso, ha rischiesto un lavoro di grosso spessore in sala d'incisione.