- Jay Butler - voce
- Chris McCormack - chitarra
- Ralph Jezzard - basso, tastiere
- Ritch Battersby - batteria
1. Death to the Infidels
2. We Luv U
3. Stoopid Ass
4. Rock the House
5. Wake up
6. Grey, Black and White
7. As Good As It Gets
8. Drugs and Girls
9. Avarice
10. Dead Man Leaving
Blame Everyone
I londinesi Grand Theft Audio (il nome è una parodia del termine grand theft auto) si formano dall'unione del vocalist Jay Butler con Chris McCormack, ex-chitarrista dei Colours Red, Ritch Battersby, ex-batterista dei Wildhearts, e Ralph Jezzard (già produttore degli EMF) al basso e alle tastiere.
La loro formula consiste in un electro-rock/britpop energico e fortemente radiofonico, con potenti schitarrate che si rifanno al rock settantiano come al periodo post-grunge, ritmiche metronomiche che toccano anche hip hop, techno e drum'n'bass sotto l'influenza della scena bigbeat, vena melodica ultra-catchy, attitudine "heavy pop", qualche fraseggio rappato, canzoni antemiche fino al midollo, contorni elettronici che toccano anche l'acid house. Con questi ingredienti di partenza confezionano il loro (unico) disco Blame Everyone.
Scanzonatissimi, quello che i GTA fanno non brilla troppo per originalità compositiva, limitandosi a portare avanti una formula ormai già consolidata in diverse varianti; ma rispetto a punti di riferimento del passato come Jesus Jones o Soup Dragons i GTA hanno un'impronta sonora più "pesante" e metallica, il che eleva al quadrato la carica e l'adrenalina sprigionata dal gruppo. In realtà beats più incalzanti o distorsioni più aggressive alla fine risultano più che altro un espediente per risultare il più possibile d'impatto che per brillare in quanto a verve creativa, cioè per colpire maggiormente e risultare maggiormente "cool" in ambito dance-floor. Però la soluzione a suo modo funziona, nonostante ad un certo punto inizi ad assumere un sapore un po' trito raramente suona pacchianamente sbrodolata e le canzoni si susseguono con un piglio immediato altamente orecchiabile e catturante - seppur minato ogni tanto da un po' di ripetitività nel songwriting e da qualche eccessiva saturazione iper-pompata delle chitarre.
Death to the Infidels è un'opening granitica e massiccia, sostenuta dalla batteria groovy che scandisce il tempo e dall'andamento regolare delle corpose chitarre fra Helmet e Ministry; appare subito chiaro il ruolo centrale dei ritornelli nell'album, fatti apposta per essere il più orecchiabili e incalzanti possibile.
We Luv U è più spensierata e allegra, ma i ripetuti riff rockeggianti sporcati di durezza a la Monster Magnet mantengono una forte enfasi sulla nitidezza del suono e della distorsione, in modo da ottenere l'impatto maggiore possibile - soprattutto in eventuali sedi live dove ogni pezzo è un potenziale stimolatore di headbanging. Godibile l'unione di elettronica spicciola all'assolo retrò.
Stoopid Ass esaspera questa componente d'impatto, mescolando ritmi hip hop, scratch, voce che va da attacchi in stile Ministry a brucianti fraseggi rap, violenti refrain di chitarre grunge, batteria impetuosa, bassi corposi, il tutto condito dalla costruzione ripetuta del songwriting che si fa ancora più ossessionante e bruciante, come in un pogo immerso in acido lisergico. Si tratta probabilmente della canzone più trascinante di tutte.
La scanzonata Rock the House è un intrigante e ballabile pezzo fra beats uptempo, canto semi-rappato e riff ripreso dagli AC/DC di canzoni come Back in Black. La ripetitività dei pezzi, finalizzata a sfruttare il più possibile la componente radiofonica degli stessi e ad enfatizzare quindi l'impatto easy-listening, inizia però a diventare leggermente monotona, escludendo un assolo bluesy/hard rock abbastanza simpatico sul finale.
Ma a questo punto i Grand Theft Audio hanno detto tutto gran parte di che avevano da dire e le rimanenti canzoni non sorprendono più di tanto; l'album procede per inerzia sui binari consolidati senza stupire eccetto che in qualche parentesi. Anche la componente elettronica si fa più piatta e meno incisiva.
Wake up ha riff massicci per coinvolgere con le distorsioni brucianti ma melodiche, il consueto ritornello ultra-catchy e la solita batteria ormai monotona seguendo il consueto schema dance-rock; Drugs and Girls sembra iniziare come una traccia più industrial-oriented per poi rovinare tutto con i soliti ritornelli pop e scratchings stereotipati; Avarice ripete la solita solfa di riffacci potenti, beats macinatori, ritornelli irresistibili ma sempre più banali.
Le uniche eccezioni sono l'interessante deriva noir e "psichedelizzata" di Grey, Black and White (in contrasto con tutto il resto del disco soprattutto nella più oscura parte centrale seguita da un'improvvisa crescita epica) e in parte As Good As It Gets, con picchi relativamente più emotivi e meno tamarri - a parte un campionamento che cita Sweet Child O' Mine dei Guns'n'roses - dovuti anche alla voce femminile che ricorda certo dance/pop anni '80, nonostante un piglio un po' pomposo.
Conclusione affidata a Dead Man Leaving che non aggiunge nulla e ripropone i soliti clichè unicamente per offrire ancora porzioni della stessa pietanza, senza lode e senza infamia.
Il disco insomma non risulta eccezionale, ma riesce a proporre qualche minuto di intrattenimento energico, brioso e soprattutto divertente.
Nonostante un andamento compositivo prevedibile, lo stile proprio dei GTA in Blame Everyone ha abbastanza carte in regola per confezionare diverse canzoni sufficientemente frizzanti, dinamiche e folgoranti, con le loro schitarrate elettriche ed il tiro deciso della batteria a sostegno della forte melodia dei chorus (tutti antemici al massimo), per immergersi in un po' di divertimento puro ed esaltato.
Farà sicuramente schifo ai puristi del rock, non esalterà i frequentatori delle discoteche alternative che hanno poca fiducia negli strumenti tipicamente rock e non convincerà chi è abituato a gruppi radio-friendly ma a loro modo di gran classe come gli Apollo 440: però per chi cerca qualcosa di potente e scanzonato senza troppe pretese, questo disco ha dalla sua diverse hit potenzialmente di successo. Ma c'è sempre il rischio di chiedersi "tutto qua?" alla fine dell'ascolto.