- Gaahl - voce
- Infernus - chitarra
- King - basso
- Dirge Rep - batteria
- Eihwaz - chitarra
1. Wound Upon Wound
2. Carving A Giant
3. God Seed (Twilight of the Idols)
4. Sign of an Open Eye
5. White Seed
6. Exit
7. Untamed Forces
8. Prosperity and Beauty
Ad Majorem Sathanas Gloriam
I Gorgoroth tornano nel 2006 sulla scena mondiale con il nuovo e oscuro Ad Majorem Sathanas Gloriam. La discutibile resa grammaticale in copertina (dovrebbe essere Satanae, anche se i termini effettivamente utilizzati erano Diaboli o Luciferi) però non deve suscitare pregiudizi sulla qualità del lavoro svolto dalla band norvegese. Si tratta di poco più di mezz’ora di un black metal violento, malvagio, caotico. Otto tracks che esprimono tutta l’atmosfera di terrore e cupezza di cui il combo nordico si è fatto emblema con il marchio tolkeniano di Gorgoroth, piana desolata di Mordor, terra dell’Oscuro Signore Sauron. E il brano che si avvicina maggiormente a questi toni è proprio quello d’apertura, Wound Upon Wound, che carica di una violenza spregiudicata l’ascoltatore. La voce è disumana, sfumata in modo velenoso, ma quello che caratterizza maggiormente questo intro sono le splendide parti di batteria che cadenzano in modo furibondo l’andamento sonoro dell’album. Il riffing di chitarra e basso poi è agghiacciante e si inserisce abilmente tra le linee vocali. Si rimane su questi toni pienamente buoni anche con la terza God Seed, meno coinvolgente dal punto di vista ritmico, ma di più dal punto di vista emotivo, con una più forte carica drammatica, resa da un vocal sofferente. Per di più una bella svolta di drums, con una successiva energica carica strumentale, rende più dinamica e varia l’evoluzione sonora.
Da li la successiva Sign of An Open Eye rompe moderatamente i toni caotici, che cominciano a diventare ossessivi, grazie all’apporto di keyboards e a una resa sonora evanescente, più atmosferica. Si comincia ad avvertire invece un segno di mancanza di originalità nel blocco che va dalla quinta alla settima canzone, dove a far da protagoniste sono più che altro le linee vocali, che donano un po’ di espressività a brani altrimenti scoloriti. La band invece torna ai livelli di inizio full-lenght con l’ultima Prosperity and Beauty, dove riemergono le linee melodiche delle chitarre che, nell’intreccio con batteria e voce, incutono un profondo senso di disagio nell’ascoltatore. Una discreta svolta, caratterizzata da riff velenosi, sancisce poi un crescendo finale di intensità strumentale che va a chiudere positivamente questo platter. Con ciò, nonostante la parte centro-finale sopra citata, gli altri brani sono una buona prova per i Gorgoroth, che si presentano con una registrazione a completo supporto della resa caotica del sound, anche se non cade quasi mai in uno stampo grezzo old style. Si tratta dunque di un lavoro denso di malvagità, che tocca un’ottima vetta all’inizio, ma che cade successivamente in una resa opprimente, ma vuota di significato.