Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Genere: 
Etichetta: 
Nuclear Blast/Audioglobe
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Alberto Salerno detto “Al” - voce & chitarra
- Luca Naccari detto “Nak” - chitarra
- Fabio Vendramini detto “Vendra” - basso, cori
- Tiziano Salerno detto “T” - batteria, percussioni


Tracklist: 

1. Prelude
2. Hide In Pieces
3. All I Die For
4. The Draw And The Rest
5. Last Day
6. Become My Heart
7. Bleeding A Scream
8. Never And Over
9. You Hate
10. Im Your Hell
11. My Beautiful Sin

Goddass

My Beautiful Sin

Mai come in questi anni la scena metal italiana ha visto uno straordinario rifiorire di validissime proposte musicali capaci di valorizzare più o meno tutti i sottogeneri del metal. Tra questi, nonostante una malcelata ma non sempre inconciliabile venatura emo, il metalcore: Hopes die last, Airway, A breach on heaven, per citare gli esempi più immediati, sono realtà ormai ampiamente consolidate a livello locale e underground che, a poco a poco, stanno esplodendo anche nella più vasta superficie nazionale. Un gradino sopra tutti, e non soltanto perché già approdati all’illustre corte teutonica della Nuclear Blast nonostante il disastroso inflazionamento del loro genere d’appartenenza, è d’obbligo collocare i torinesi Goddass, freschi di pubblicazione della loro ultima fatica discografica: dopo ben 2 LP autoprodotti (The outsider (2004) e Memories (2006)), e un EP in promozione (Goddass (2007), già contenente le tre hit Last day, My beautiful sin e All I die for), infatti, l’eccellente My Beautiful Sin ci consegna la prova tangibile di una maturazione artistica decisamente ragguardevole alla quale non poteva non prestare attenzione l’occhio sempre attento dell’etichetta tedesca, ormai ampiamente collaudata nel lanciare nel panorama europeo artisti apparentemente sconosciuti ma dal sicuro avvenire.

Ciò che più stupisce di questa giovane band piemontese (tutti classe ’87-’88) è l’eccellente qualità del lavoro nonché la buona completezza del repertorio, cui si abbina un’indiscutibile e ben sviluppata personalità artistica: My Beautiful Sin, infatti, risulta originale, diverso, personale appunto, sin dal primo ascolto, senza possibilità di essere confuso con altri lavori dello stesse genere né, tantomeno, di essere considerato una banale copia di altri album o di altre band. I tratti caratteristici di questa più che valida opera rappresentano, per certi versi, una novità nel panorama metalcore internazionale: linee melodiche molto spesso essenziali, soprattutto nel tratteggio delle strofe, e molto pulite (nonostante un mixaggio talvolta drammatico, capace di rovinare con un effetto noise-radio tanto inutile quanto dannoso tracce come la 6 e la 8), assoli strumentali quasi centellinati ma al contempo perfettamente inseriti nella dinamica dei pezzi, straordinaria capacità di alternanza e interazione fra le vocalità in scream e in clean (complimenti al vocalist Al Salerno: prestazione davvero convincente), intermezzi e cambi di tempo ottimamente eseguiti e, soprattutto, mai banali o puramente fini a sé stessi; ad amalgamare tutti questi gustosi ingredienti, una sensibilità melodica tipicamente italiana che, se usata con cautela e perizia come in questo specifico caso, è pregio indiscutibile e assolutamente inimitabile.

Gli esempi più evidenti delle qualità del combo torinese sono senza dubbio le epiche All I Die For e Last Day: entrambe queste tracce si discostano molto dalle sonorità metalcore più tradizionali (più la prima della seconda, onor del vero, ma in entrambi i casi non sembra fuori luogo sdoganare il termine emocore), proponendo linee melodiche solide ma al contempo sufficientemente delicate, rinunciando in massima parte ai virulenti breakdown tipici del genere ma valorizzando la base ritmica basso-batteria con una muro sonoro decisamente affine al rock moderno ed estremamente gradevole all’ascolto. Proprio in virtù di questi eccellenti episodi stupisce notevolmente che come primo singolo estratto sia stato scelto un pezzo a mio avviso metodologico e derivativo quale The Draw And The Rest, il quale, peraltro, non era stato nemmeno inserito nell’EP che anticipava, ormai più di un anno fa, l’uscita di My Beautiful Sin (guarda caso, contenente proprio All I Die For e Last Day, oltre alla titletrack) nonostante anch’esso presenti tutte le migliori peculiarità tecniche dei Goddass (sarà sciocco ripeterlo, ma il loro stile è veramente inconfondibile), tuttavia questo brano risulta del tutto privo di carisma ed energia emotiva, a partire da un chorus piuttosto monotono e decisamente non all’altezza della generale gradevolezza del pezzo.

In linea di massima, i momenti veramente insufficienti o, meglio, insoddisfacenti di My Beautiful Sin si concentrano tutti nel segmento centrale della tracklist: oltre alla già citata The Draw And The Rest, senza dubbio la fiacca Become My Heart (ad eccezione di un intermezzo veramente da brividi), affossata da un mixaggio che confonde maldestramente qualche indiscreta attitudine power con un rumoroso e confusionario wall of sound; la pseudo-romantica Never And Over, che illude con un attacco acustico salvo poi ricadere negli irritanti problemi di noise (a questo punto verrebbe da pensare ad una precisa, ma suicida, scelta stilistica) già manifestati in Become My Heart. Al contrario, oltre ai due gioielli di traccia 3 e 5, l’intro semi-acustico è già di per sé una gradita sorpresa, mentre Hide In Pieces, nonostante la sua evidente canonicità di genere, rimane scolpita nei timpani grazie ad un chorus estremamente orecchiabile esaltato da un brillante drumming in controtempo.

A conclusione di questo validissimo lavoro, i due pezzi in assoluto più violenti del lotto (i titoli certo non lo lasciavano intuire…), le più che discrete You Hate e I’m Your Hell: entrambe si distinguono per i solidi breakdown centrali, che associano a strofe più rapide e feroci degli incisi più teneri, ma pur sempre costellati di notevoli intuizioni melodiche. Considerazione a parte merita la traccia conclusiva, My Beautiful Sin, certamente notevole anche se non eccessivamente trascinante: intro compatta e precisa, strofa quasi midtempo con riff alla Jim Root made in Slipknot, prechorus scream ad anticipare un chorus breve e divino in pulitissimo clean; frattanto, ennesimo pregevole intermezzo, con cambio di velocità nel drumming e luminoso assolo di chitarra. Ascoltarla è decisamente più facile che spiegarla.

In conclusione, è chiaro che My Beautiful Sin non può ancora definirsi un capolavoro del genere, ma, al di là di qualche pecca facilmente eliminabile con una registrazione più accurata, è davvero difficile riscontrarvi errori, difetti, imperfezioni significative; a maggior ragione, non bisogna dimenticare che, se si trascurano i due sconosciuti LP autoprodotti, si tratta a tutti gli effetti del disco d’esordio di ragazzi poco più che ventenni, cioè con un bagaglio di esperienza alle spalle ancora (ma certamente per poco) limitato. Ciò che più spiace e al contempo irrita è che questi giovani, volenterosi e soprattutto meritevoli musicisti italiani siano stati costretti ad emigrare nella vicina Germania per trovare qualcuno dotato di coraggio e lungimiranza sufficienti a investire su di loro: alla giudiziosa Nuclear Blast, ora, l’onore di godere dei prelibatissimi frutti di una delle migliori proposte metalcore attualmente in circolazione. Quando si dice: il made in Italy.

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