- Anneke Van Giesbergen - voce, chitarra
- René Rutten - chitarra
- Frank Boeijen - tastiera
- Hugo Prinsen Geerligs - basso
- Hans Rutten - batteria
CD1
1. Frail (you might as well be me)
2. Great ocean road
3. Rescue me
4. My electricity
5. Liberty bell
6. Red is a slow colour
7. The big sleep
8. Marooned
9. Travel
CD2
10. South American ghost ride
11. Illuminating
12. Locked away
13. Probably built in the fifties
14. How to measure a planet?
Nota: nell'edizione giapponese i due dischi vennero uniti in uno solo, tuttavia omettendo il lungo brano finale per motivi di spazio.
How to Measure a Planet?
Reduci dal successo moderato che il pubblico diede loro dopo Nighttime Birds, i The Gathering ruppero col passato e attuarono un radicale cambiamento nella loro musica componendo il loro quinto disco, How to Measure a Planet: non più quel gothic metal lento e atmosferico, via riffs cadenzati e intensi, via le tastieroni imponenti, via il chitarrista Jelmer Wiersma (che amichevolmente lascia la band per divergenze musicali), via l'utilizzo da prima punta della voce di Anneke Van Giesbergen che di persona disse che sarebbe stata più calibrata col resto del gruppo (per "essere più globale e meno individualista, e ridurre le urla").
Le tastiere di Boeijen si fanno più amalgamate nell'atmosfera cupa di sottofondo, a volte giocando con piccole e sporadiche orchestrazioni, mentre Anneke è più intimista e dolce nella sua voce angelica, e il chitarrista René Rutten evolve il suo stile verso arrangiamenti più raffinati e soffusi, facendosi influenzare dall'estro di chitarrsti come David Gilmour dei Pink Floyd o Robert Fripp dei suoi King Crimson e portando tutto in un universo musicale tenue, mesmerizzante e meditato, in cui convergono anche le atmosfere stratificate e dilatate del dream pop e dello shoegazing.
Svolgono un buon lavoro, solido, stabile e perfettamente inserito nell'insieme anche i due elementi ritmici, il bassista Geerligs e il batterista Hans Rutten, sostenendo le costruzioni dei brani ma al contempo mantenendosi in sinergia con l'intero complesso, mescolati abilmente nei suoni. Il risultato è di gran classe e soprattutto coraggioso ed anche molto fresco e personale.
Senza ombra di dubbio un disco particolare e ricco di influenze: dalla classe dei Pink Floyd all'oniricità dei Cocteau Twins e degli Slowdive passando per una cupezza relativamente deadcandanceiana, nel gioco di suoni pieni e intensi si inseriscono anche alcuni richiami ai Radiohead ed un approccio oscuro e moderno, fattore che unito ad alcune dichiarazioni iniziali del gruppo hanno riempito le bocche di fan e recensori con un genere musicale: il trip hop.
Tutto ciò però nasce da un equivoco, cioè dalla definizione di "trip rock" che i The Gathering stessi idearono in un'intervista ai tempi di quest'album. Ora, io non metto in dubbio che ci siano alcuni spunti del genere da cui i Gathering sono in parte stati ispirati (per esempio come Mezzanine dei Massive Attack) sotto forma di mood e nel ricreare determinate atmosfere, ma da qui a definirli "trip rock" in toto come unione di trip hop e rock ce ne passa: mancano di fatti tutti i principali tasselli costitutivi del genere come il battito derivato dall'hip hop, il dub o l'utilizzo di strumenti rock per ricreare un sound elettronico, nessuna traccia di elementi essenziali come il downtempo o il turntablism; piuttosto stilisticamente i Gathering sono molto più vicini ad una forma di rock alternativo influenzata dalla corposità shoegazers in una veste più psichedelica, complessificata e cupa.
In verità la stessa Anneke in una successiva intervista chiarì il signficato del termine "trip rock", non intendeva parlare di un genere preciso ma più che altro di una musica particolare, intensa, evocativa, e il legame con gruppi come i Massive Attack è più a livello di umore cupo e atmosfere moderne avvolgenti che di stilemi: <<Quello che intendiamo con Triprock è fondamentalmente “trippy music”… ti puoi sedere e rilassarti ascoltandoci. È una cosa diversa dal Trip Hop, perché è radicata nella musica Rock… non una musica pesante, certo, ma al contrario molto melodica ed intensa se vuoi. Heavy Pop o Soft Melodic Rock sono definizioni brutte, che non ci piacciono… Trip Rock è una bella parola>>.
In ogni caso il risultato finale fu che quando uscì, How to Measure a Planet? incontrò le critiche di molti fan di vecchia data, che si sentirono quasi traditi e gridarono alla "commercializzazione" della band unicamente perché avevano abbandonato il metal in favore di una musica apparentemente più immediata. Questa cosa però è opposta alla musica del disco che è ben più di difficile accesso e minore energia che in passato e non ci vuole molto a notarlo. Addirittura le vendite furono quasi i due terzi rispetto al precedente full-lenght, complice il fatto che il nuovo cammino del gruppo incontrò il dissenso anche della label Century Media (preludio alla futura rottura dei rapporti) che dedicò meno spazio alla promozione della loro musica, trattandoli con superficialità e indifferenza.
Altro che "commercializzazione", la vera commercializzazione ci sarebbe stata insistendo sul goth metal melodico e romantico che di lì a poco sarebbe diventato un trend estremamente banalizzato e pre-confezionato.
Ma c'è da dire anche che per How to Measure a Planet? i The Gathering non si risparmiarono pubblicando ben un (ovviamente) più costoso doppio cd.
A dispetto di ogni difficoltà, questa fu un'ottima svolta sentita, profonda, intensa, di notevole eleganza, dalle atmosfere eteree e con un occhio di riguardo alla tranquillità che sfocia in parti calme, quasi silenziose, e alla rappresentazione del tema del viaggio che permea tutto l'ascolto. Tanto che nonostante tutto la critica intuì subito il potenziale e il valore della formazione olandese.
Il primo disco viene aperto dalla tenue e delicata musica di Frail, che lascia ben intravedere quali saranno le coordinate dell'album e il vasto campionario di influenze reinterpretate dagli olandesi.
Great Ocean Road è piacevolmente semi-meccanica e al tempo stesso intensa, mentre Rescue Me si adagia su arpeggi più delicati pur avendo un intermezzo distorto e psichedelico.
My Electricity viene introdotta da una batteria lenta e cadenzata e dagli accordi di chitarra seguendo il filo conduttore dell'album, ma è molto più breve degli altri brani, tre minuti contro una media di cinque/sei (anche se è leggermente più breve Locked Away) e per questo apparentemente non rimane impressa quanto le altre canzoni.
Forse il singolo Libery Bell si riavvicina a un Nighttime Birds in una chiave più sperimentale, ma la concezione rimane diversa, filtrata ugualmente dall'ottica dell'album; rimane lo stesso un pezzo di alto livello.
Red Is a Slow Color sembra riprendere il discorso di My Electricity intensificandolo (relativamente) e prolungandolo, dandoci una delle migliori canzoni del disco con i suoi momenti fra i più intensi e significativi dell'intero full lenght (in particolare il ritornello con le tastiere "string" di sottofondo).
Non è da meno The Big Sleep con il suo motivo elettronico denso e fumoso che riempie l'intero sottofondo della canzone, fino a questo momento la più vicina al trip hop per le atmosfere.
Marooned richiama una via a metà strada tra i Massive Attack più nostalgici e i The Gathering più romantici, ma a dispetto della sua popolarità tra i fan non colpisce quanto le altre canzoni, pur rimanendo ampiamente godibile e gradevole.
Tocca ora alla stupenda Travel, ben nove minuti di passaggi cadenzati e intensi in un viaggio sonoro di grande emozione che chiude il primo CD ottimamente.
Il secondo disco è anche meglio, oltre che più psichedelico: se la strumentale South American Ghost Ride è lenta, ipnotica, emotiva, Illuminating emerge più con il suo basso funky/dub e le atmosfere quasi ambient delle tastiere a sostenere la superba prestazione vocale di Anneke che domina il chorus con la sua intensa e cristallina voce.
Locked Away è il brano più corto del disco con soli tre minuti, un lento e ipnotico brano dove Black Sabbath e Pink Floyd trovano il punto d'incontro più assimilabile: un preludio agli emozionanti sette minuti di Probably Built in the Fifties, forse l'unico vero brano che presenta realmente un certo lato trip hop, sostenuta dalla sezione ritmica che è decisa ma al tempo stesso naviga leggera sui muri sonori del brano, mentre Anneke si integra alla perfezione con l'uso, in alcuni momenti, di un leggero filtro vocale che arricchisce l'atmosfera quasi allucinogena. Alcuni chords profondi e distorti inoltre richiamano il passato della band, nei momenti goth/doom di maggiore oscurità (ma anche evocatività).
Giungiamo infine alla conclusione con la lunga suite della titletrack, How to Measure a Planet?. Quasi trenta minuti di progressione in cui vengono rielaborate tutte le sonorità finora incontrate, smontate pezzo per pezzo e poi rimontate con una vena più minimalista, intessendo la musica in una strumentale fluida e per nulla pesante da ascoltare.
In definitiva, quest'album segna una svolta per la formazione olandese, che si dimostra accorta e attenta osservatrice di un vasto mondo musicale fin troppo ignorato da quei fan del vecchio corso che snobbano il loro cambiamento; i The Gathering assimilano e rielaborano un caleidoscopio ricchissimo di influenze proiettandolo verso il futuro nelle loro visioni oniriche e spaziali.
Il risultato è probabilmente il picco più elevato della discografia dei The Gathering e nonostante le difficoltà con il pubblico si guadagna la stima dei critici sia di numerosi artisti alternativi.
Qualche difetto però ce l'ha: c'è forse un po' troppa carne al fuoco, che per di più con la sua sovrabbondanza tende a far sembrare il disco come se ci fosse tanto materiale ma mancasse quel qualcosa per chiudere definitivamente il cerchio. Ma ciò viene compensato dal coraggio di sperimentare e cambiare rotta, andando avanti per la propria strada infischiandosene delle critiche dei vecchi fan delusi perché "non è metal" e "che noia 'sta musica soporifera, vogliamo i riffacci e la doppia-cassa".
E' inoltre affascinante notare come i vicini inglesi Anathema, partendo da delle origini molto simili, abbiano percorso una strada parallela (ma si dovrebbe posticipare il loro personale How to Measure a Planet? nel 2001 con A Fine Day To Exit e il loro If/then/else nel 2003 con A Natural Disaster) anche se non coincidente, pur attingendo qualcosa da quella dei The Gathering. Ed anche loro si inimicarono molti vecchi fan e la label, purtroppo con minore fortuna siccome si giunse al punto di incontrare difficoltà economiche per la produzione di nuovi dischi.