Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
Virgin
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Peter Gabriel - Voce, Arrangiamenti
- John Metcalfe - Arrangiamenti
- Bob Ezrin - Produzione
- Tchad Blake - Produzione

Tracklist: 

1. "Heroes" (David Bowie)
2. "The Boy in the Bubble" (Paul Simon)
3. "Mirrorball" (Elbow)
4. "Flume" (Bon Iver)
5. "Listening Wind" (Talking Heads)
6. "The Power of the Heart" (Lou Reed)
7. "My Body Is a Cage" (Arcade Fire)
8. "The Book of Love" (The Magnetic Fields)
9. "I Think It's Going to Rain Today" (Randy Newman)
10. "Après Moi" (Regina Spektor)
11. "Philadelphia" (Neil Young)
12. "Street Spirit" (Radiohead)

Peter Gabriel

Scratch My Back

Niente maschere e travestimenti surreali. Le volpi sono dimenticate, i trucchi lasciati definitivamente in un camerino perduto tra le onde del passato, in cui oscillano ricordi visionari di deliri concettuali e spiazzanti epopee sonore. Il Peter Gabriel di adesso è nudo, spogliato di qualunque istrionismo sperimentale, conscio della rovina verso cui si sta dirigendo la musica popolare. Eppure nei suoi occhi continua a brillare una leggera fiamma di indipendenza e rivalsa, quel sentimento di perenne rinascita che come sempre avvolge i ritorni delle vecchie glorie di un Rock che, in realtà, di questi mostri sacri invecchiati sente terribilmente la mancanza. Così l'ex-Genesis ha deciso di buttarsi a capofitto in un progetto ricercato e non privo di un suo profondo fascino: un 'interscambio' di canzoni tra lui e altri artisti, l'uno che rifà le canzoni gli altri, gli altri che rifanno le canzoni sue. Di questo progetto - per adesso - possiamo solamente assaporare la parte firmata Gabriel, raccolta in un album emblematico tanto nel titolo quanto nelle piccole perle che vi sono fragilmente racchiuse.
Scratch My Back (uscito per la Virgin e in distribuzione in Italia a partire dal 12 Febbraio) è, almeno stando alle premesse, un lavoro ambizioso e per certi versi complesso, anche se a muoverne i fili vi è un deus ex machina come Peter Gabriel. Rielaborare, riarrangiare e modificare le atmosfere e i suoni di alcune grandi canzoni del passato e del presente è ciò che l'ex Genesis ha posto come suo obiettivo primario, stringendo con gli artisti chiamati in causa un fascinoso scambio di cover che vedrà nascere anche il suo secondo volume, intitolato I'll Scratch Yours, a fine 2010.

Unico a tirarsi fuori da questo progetto è stato il duca bianco David Bowie, la cui Heroes - qui splendidamente rivista in chiave classical, lenta e toccante - apre le sommesse danze di Scratch My Back, svelandone in un sol colpo quella che sarà l'impostazione compositiva tenuta da Gabriel (e dal fido assistente John Metcalfe, ex Durutti Column) per tutta la durata dell'album. Struggenti sezioni di archi e fiati, un pianoforte intimo e la voce del vecchio Peter sono gli unici interpreti di una discesa musicale profondissima che, con passo lento e leggero, ci trasporta fino al cuore stesso di Gabriel. Perchè anche se le canzoni non sono sue, il modo in cui sono state ricreate e modellate lascia percepire immediatamente la grande passione impiegata dell'ex Genesis per questo ambizioso progetto. Niente chitarre, niente batteria, niente urla e deliri visionari. Insomma, il Rock scompare per lasciare spazio ad un cantautorato orchestrale elegantissimo, colonna sonora cameristica per un sensazionale viaggio indietro nel tempo e nel suono.

I capolavori, come c'era da aspettarsi, si sprecano. Nelle loro nuove vesti sinfoniche, le canzoni coverizzate da Gabriel assumono un aspetto completamente nuovo e dannatamente affascinante, innanzitutto grazie a degli arrangiamenti impeccabili (tra cui spiccano quelli di Mirrorball degli Elbow e quelli dello straziante gioiello My Body Is a Cage degli Arcade Fire, forse l'episodio meglio elaborato di Scratch My Back), in secondo luogo per via della voce di un Gabriel abilissimo nell'immedesimarsi nelle diverse figurazioni canore prescelte, sia che si tratti di episodi sentimentali e romantici (l'indimenticabile The Book of Love dei Magnetic Fields) sia che si tratti di più ombrose evoluzioni vocali, come quelle che si appoggiano alle emozionanti fughe di archi e fiati di Après Moi, splendida rivisitazione del capolavoro pianistico di Regina Spektor. In questa maniera Gabriel avvolge le dodici gemme del disco in un lenzuolo di piacevole intimismo e di atmosfere soffuse, sradicando ogni singolo pezzo dalla sua dimensione originaria e vestendolo secondo il suo raffinatissimo guardaroba acustico. Se infatti anche brani primordialmente 'sgraziati' (come la già citata The Book of Love) si trasformano in sonate da camera dalla spaventosa eleganza, ciò è dovuto allo stile e alla perizia compositiva con cui Gabriel ha messo a fuoco la propria - per così dire - playlist, reinterpretata seguendo parametri e intuizioni diverse e incredibilmente suggestive (i ghirigori strumentali di Mirrorball degli Elbow), oltre che efficacissime nella resa emotiva (lo spleen e il sapore decadente accentuati dalla splendida cover di Street Spirit dei Radiohead).
E anche quando ci sono da rielaborare le creazioni di veri e propri pezzi di storia (con un peso infinitamente maggiore rispetto ai vari act 'indie' qui coverizzati) il cantautore britannico non si tira indietro e, con quella classe che solo i grandi musicisti possiedono, estrae dal cappello magico degli affreschi atmosferici ed emozionali più che degni delle canzoni originali, che in questo caso si chiamano The Power of the Heart (tra le più recenti composizioni di Lou Reed), I Think It's Going to Rain Today (indimenticabile confessione di Randy Newman, anno 1968), Listening Wind (storico - e ostico - brano dei Talking Heads qui coraggiosamente reinterpretato da Gabriel), The Boy in the Bubble (firmato Paul Simon) e, per finire, quella struggente Philadelphia che Neil Young compose per l'omonimo film di Jonathan Demme, lacrimante capolavoro che l'ex-Genesis ha rielaborato accentuandone splendidamente - attraverso un morbido tappeto di fiati - il piglio malinconico e riflessivo.

Nell'attesa che venga ultimato I/O (nuovo album solista da tempo annunciato ma del quale ancora non si conosce la data di pubblicazione), Scratch My Back ci presenta un Peter Gabriel intimo, raffinato e in forma decisamente smagliante; perchè nonostante esso contenga canzoni non originali bensì prese in prestito da una - volutamente estesa - dimensione rock-cantautorale (quarant'anni passano dal singolo di Randy Newman a quello di Lou Reed qui coverizzati), Scratch My Back, per la forza drammatica che è in grado di sprigionare, pare quasi essere un vero e proprio album di inediti. E se è questo risultato shockante a venire fuori per primo, vuol dire che l'ex-Genesis ci ha visto, sentito, pensato e suonato giusto, e questo - ovviamente - non può che rallegrarci.
 

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