- Jem Godfrey - tastiera, voce
- John Mitchell - chitarra, voce
- Andy Edwards - batteria
- John Jowitt - basso
Guests:
- John Boyes - chitarre aggiuntive
1. Hyperventilate
2. No Me No You
3. Snowman
4. The Other Me
5. Black Light Machine
6. Milliontown
Milliontown
Il tastierista Jem Godfrey, fattosi prima strada nel campo della produzione e del mixaggio da studio per diverse importanti realtà musicali della Gran Bretagna, nel 2006 esordisce con Milliontown, album del suo neonato progetto Frost*. Accompagnato da tre altri esperti strumentisti, quali John Mitchell (chitarra), Andy Edwards (basso) e John Jowitt (batteria), Jem inserisce in questo Milliontown sei tracce dal sapore progressivo, moderno e brillante, ottimamente suonato e prodotto.
Nel Progressive Rock esibito dalla formazione inglese si intravedono molte influenze provenienti dalla scuola settantiana, unite ad un feeling moderno che stregherà l’ascoltatore per l’ampio uso delle melodiche tastiere.
Eccezionale è infatti l’opener strumentale Hyperventilate, tutta delineata sui temi di pianoforte che si presentano eleganti e ben supportati da un pattern di effetti di buono spessore. Più legata invece alla nuova tradizione del Progressive Rock americano (Spock’s Beard e Neal Morse) è la seconda No Me No You, ben strutturata sui cori e sugli improvvisi stacchi del solito pianoforte di Godfrey, punto di forza dei Frost*. Non mancano sezioni più cadenzate e dal gusto scherzoso, tipiche del filone svedese come Kaipa e The Flower’s Kings: una sfera d’influenze alquanto vasta quella adottata da Jem e compagni, che riescono a racchiudere in un unico sound tante idee interessanti e non scontate.
Un esempio significativo è costituito dalla terza Snowman, traccia delicatissima nel ritmo regolare scandito da tastiera e chitarra acustica, che rimane statica e monotona pur apparendo sempre in procinto di esplodere in qualcosa di inaspettato e nuovo. Superando questo capitolo che potrebbe sembrare troppo monotono e scontato, si giunge a The Other Me, dalla parvenza elettronica e sinfonica, presente in particolare nell’approccio dei timbri metallici o nelle parti più avvolgenti: la grande melodia che permea la composizione, refrain in primis, potrebbe rammentare degli sviluppi Pop abbastanza semplici ed ormai ripetuti all’infinito, ma la discreta elettronica riesce ad innalzare nuovamente il livello di un episodio non impeccabile.
Un ennesimo salto verso il timbro Spock’s Beard si ha con la penultima Black Light Machine, dal mid-tempo coinvolgente e dalla curata impostazione vocale: la mente è libera di correre lontano su pezzi Progressive Rock di singolare rilievo come questo e Jem Godfrey si dimostra ancora abilissimo tecnico del suono nel calibrare perfettamente gli strumenti in fase di registrazione e di successivo mixaggio.
Il miscuglio risultante è infatti capace di stupire nella sua atmosfera come nei passaggi strettamente tecnici: i suoni affiorano e si dissolvono con estrema precisione e nulla è lasciato al caso durante ciascuno dei sei episodi di Milliontown.
Non da meno è anche la title-track che chiude il full-lenght sempre servendosi del pianoforte come strumento principale su cui impostare le architetture liriche e strumentali: Godfrey sembra riscoprire un’attitudine tipicamente inglese, derivata dalle sperimentazioni settantiane dei Genesis e da quelle odierne dei Threshold.
Per concludere, Milliontown rappresenta un’entusiasmante testimonianza di come nel 2006 si riesca a realizzare della buona musica Progressive senza esagerare in eccessivi preziosismi o cadere nel banale. Pur non essendo privo di pecche e di soluzioni alquanto azzardate, Milliontown potrà sorprendere positivamente i fans del Progressive e chi, ormai, considera l’Inside Out come garanzia di qualità nell’ambito del genere.