- Christian Fennesz - Chitarra Elettrica e Acustica, Synth, Electronics, Computer
1. Black Sea
2. The Colour of Three
3. Perfume for Winter
4. Grey Scale
5. Glide
6. Glass Ceiling
7. Vacuum
8. Saffron Revolution
Black Sea
Un'illusione effimera, incantevole, lontana. Il suono nella sua dimensione più libera e irrazionale che diventa magia astratta, la sperimentazione acustica che si scrolla di dosso ogni tentativo di irruente ribellione concettuale chiudendosi timidamente nel suo stesso, levigato mondo. Una musica d'avanguardia intensa e struggente quella di Christian Fennesz, compositore eclettico, instancabile sognatore ma al contempo artista freddo e disincantato: il musicista austriaco ha saputo negli anni trovare il giusto compromesso tra ricercatezza e melodia, tra sperimentazione e pura bellezza uditiva, rendendo la sua arte non solo un concentrato di idee e innovazione, ma dandole le sembianze di un incantesimo sonoro terribilmente affascinante.
Fennesz ha smussato l'ambient e l'elettronica dei loro più logorati stilemi arricchendone la soave atmosfera di fondo attraverso frammenti di pura musique concrete, ha trasformato radicalmente uno strumento classico (per il rock s'intende) come la chitarra abbattendo qualsiasi limite o costrizione stilistico-concettuale esistente.
Scavalcato così il passato tanto quanto la modernità, Fennesz si è ritrovato davanti un universo interminabile, desolato e silenzioso e, come uno scrittore che riflette d'innanzi ad un foglio bianco i suoi pensieri prima di riversarli con fiumi d'inchiostro, ha cominciato ad assorbire e a capire quello spazio, per poi crearne una rielaborazione estremamente intima e soffusa.
E' per questo che Black Sea, ultimo lavoro dell'artista austriaco, si presenta come la più profonda testimonianza della sua emotività e della sua poetica: le levigate ricercatezze linguistiche contaminate dal glitch e dall'industrial "ambientale" degli anni '60 dell'indimenticato capolavoro Endless Summer (già smussate nell'altro gioiello Venice, del 2004) vengono qui azzerate del tutto permettendo agli istinti basilari di esprimersi nella maniera più spontanea possibile: il risultato non è nient'altro che una musica atmosferica, intensa e riverberata, una musica che non si limita a sperimentare concettualmente come accadeva nei precedenti lavori (di cui comunque viene qui ricalcata la sintassi formale ed espressiva) ma che, durante il suo scorrere, lascia fluire tutta la sua essenza più onirica ed eterea.
Black Sea è ormai lontano da quelle ultime eco di quotidianeità irreale e fittizia in cui la tecnologia si imponeva come sua rappresentazione e allo stesso tempo come suo emblematico distacco; uno stato interiore per lo più assente, azzittito da una pantomima artistica lontana da qualsiasi approccio emotivo e votata ad una (comunque abbagliante) sperimentazione stilistica. L'ultimo nato in casa Fennesz riesuma invece la sua più profonda intimità, donando all'ascoltatore un prodotto fragile e intenso che avvolge senza risparmiare fasi di assoluto straniamento (i meravigliosi arrangiamenti della titletrack che apre il disco) in cui ipnoticamente si compiono splendide elevazioni atmosferiche ora più distese e malinconiche (Glide) ora più psichedeliche (The Colour Of Three) e oniriche (Saffron Revolution e Glass Ceiling).
Ma anche per quanto riguarda la creazione e la gestione del materiale sonoro Black Sea sorprende sin dall'inizio risultando raffinato ed estremamente elegante ad ogni suo movimento, aspetto che vede la sua massima realizzazione nella già citata opener e soprattutto nella magia ambientale di Perfume For Winter e della più soave Vacuum.
Ma laddove il disco sembra perdersi semplicemente in anelati luoghi di perdizione (che alla lunga possono comunque risultare ripetitivi), Fennesz tira fuori dal suo infinito calderone di suoni e idee la meravigliosa Grey Scale che poeticamente riflette tutto quel mondo di emozioni perdute e di ricordi lontani che sembravano ormai definitivamente seppelliti; una perla dal forte sapore nostalgico in cui la malinconia fa da padrona ma timidamente, come se trattenuta da un istinto maggiore, permeando in ogni caso l'intera atmosfera del brano e ponendosi come unico e vero emblema dell'album.
Black Sea in qualche modo riassume ed amplifica attraverso un registro compositivo ancor più etereo ed ineffabile le soluzioni atmosferiche già presenti nel precedente (e comunque migliore) Venice, segnando definitivamente un punto di svolta all'interno della sua carriera, come del resto dimostra anche la doppia collaborazione di Fennesz con Ryouichi Sakamoto in Sala Santa Cecilia (2005) e nel godibile Cendre (2007). Inutile continuare a parlare, inutile cercare ulteriori espressioni per elogiare Black Sea: Christian Fennesz non sbaglia nemmeno questa volta riaffermando lo splendore della sua musica attraverso un disco che, sebbene non raggiunga per complessiva bellezza i due precedenti full-lenght, ne esprime il lato più introverso e malinconico in maniera semplicemente unica.
Ennesima grande prova di un grande artista.