- Æðelwalh - Sintetizzatori, cori
- Theutus - Batteria
- The Watcher - Voce, Chitarra
- Grungyn - Basso, cori
1. Epoch
2. Ghosts of the Flood
3. Of Wilderness and Ruin
4. The Gibbet Elms
5. Carrier of Echoes
6. Half-Light Eternal
7. A Waning Solace
8. Ashbringer
Epoch
“Epoch” è il secondo disco dei Fen, post-Black Metal band inglese facente parte di uno sparuto ma affascinante gruppo di bands provenienti dalle isole britanniche (Caïna, Wodensthrone, A Forest of Stars, Winterfylleth, e volendo anche gli irlandesi Altar of Plagues) che negli ultimi anni stanno innalzando lo stendardo del (moderno) Black Metal in un paese tradizionalmente povero di grandi gruppi in quel settore.
Il quartetto in forza alla nostrana Code666 Records può contare sul buon riscontro ottenuto anni fa dal debutto “The Malediction Fields”, grazioso ibrido di Black Metal e Post Rock sulla scia degli Agalloch. Limate le ingenuità di quel disco, con il nuovo “Epoch” si ha la sensazione che i Fen vogliano ora lasciare il segno sul serio.
L'ingresso del tastierista Æðelwalh, ex membro dei più taglienti Wodensthrone (il loro “Loss” del 2009 era disco degno d'interesse per gli amanti del Pagan Black), ha probabilmente contribuito a dare una dimensione più oscura e atmosferica ai Fen, i cui giochi tra luci ed ombre sono ora più convincenti che in passato.
Il livello tecnico si è innalzato: in particolare il basso (ottima prova, in un genere in cui questo strumento è di solito mera comparsa) e la batteria sono ora protagonisti di interessanti intrecci che arricchiscono l'arsenale ritmico del gruppo, mentre le tastiere offrono spunti ariosi e fungono da collante tra le varie anime del gruppo. Incroci tra black metal (come anticipato, leggermente più tetro e cupo che in passato) e influenze rock sono il marchio di fabbrica dei Fen, e l'atmosfera sognante e scintillante dei momenti più morbidi (con intrusioni da indie, post-rock e shoegaze, oramai codificate dalle recenti sperimentazioni in quelle direzioni) riesce egregiamente a mantenere in equilibrio il disco, piuttosto equamente diviso tra momenti di furia ed altri di introspezione.
A livello vocale troviamo un altro dei principali miglioramenti: se una delle scelte più contestate di “The Malediction Fields” fu l'utilizzo di una voce pulita non sempre convincente quando impiegata nel pieno della sua forza, i Fen paiono aver fatto tesoro delle critiche e in “Epoch” utilizzano le clean vocals in maniera nettamente più sfumata e delicata, spesso sussurrata. La parte del leone, comunque, è sempre affidata allo screaming. Tutti piuttosto lunghi (6-10 minuti) ed articolati i brani proposti, oltreché di qualità e stile simile: piuttosto inutile, quindi, descriverne uno in particolare (per chi scrive, ad ogni modo, “Carrier of Echoes” è risultato essere il più intrigante del lotto).
Non un disco dedicato a chi è interessato ad un approccio sanguigno e carnale al Black Metal, ma certamente un appuntamento consigliato per tutti gli appassionati dei più moderni e meticciati risvolti del genere.
Inutile aggiungere che per chi ha apprezzato “The Malediction Fields” l'ascolto è pressoché obbligatorio, visti i progressi fatti dai Fen con questa nuova release.