- Alec Empire - Voce, Chitarra, Synth, Programmazione
1. New Man
2. If You Live Or Die
3. Ice (As If She Could Steal A Piece Of My Glamor)
4. 1000 Eyes
5. Down Satan Down
6. On Fire
7. Robot L.O.V.E.
8. Death Trap In 3-D
9. Bug On My Windshield
10. No/Why/New York
The Golden Foretaste of Heaven
Spesso si fa fatica ad ammetterre il passo falso che un musicista compie nel corso della propria carriera, ma quando ciò accade, non esistono protezioni nè diversivi che possano celare una caduta di stile, o più semplicemente, una totale mancanza di ispirazione compositiva. E pare che anche il buon Alec Empire, ormai da diversi anni impegnato nel suo progetto solista, non abbia saputo fare a meno di passare attraverso questa fase che, nella maggior parte dei casi, colpisce e fulmina gli artisti che si ostinano ad andare avanti senza idee solide e concrete.
Eppure con Intelligence And Sacrifice (2002), un fulminante capolavoro di violentissimo digital hardcore, Empire aveva dimostrato di non aver smarrito, anzi, di aver elevato alla potenza, la vena creativa che, ai tempi degli Atari Teenage Riot, l'aveva eretto come un monumento dell'elettronica teutonica, anche se già col successivo Futurist (2005) si incominciava ad avere l'impressione che qualcosa stava andando per il verso sbagliato, che puzzava di bruciato invece di profumare come l'ennessima trovata geniale.
Un declino realmente partito tre anni fa e brutalmente sprofondato in quest'inizio di 2008: The Golden Foretaste Of Heaven.
Persa la cattiveria e la potenza di Intelligence And Sacrifice, rimpicciolita la matrice industrial più accattivante e la complessità elettronica dei bei tempi andati, Empire rinchiude in dieci pessime canzoni soltanto i rimasugli, i frammenti, i residui di quello stile attraverso cui aveva sconvolto l'intero panorama elettronico mondiale, presentando una musica che sa di stantio e che, purtroppo per lui, non si concede a facili apprezzamenti.
Gli arrangiamenti strumentali, ancora una volta costituiti dall'amalgamarsi di chitarre iper distorte, synth e drum machine, risultano terribilmente vuoti e mal impostati, le opprimenti atmosfere industriali si ritrovano trasformate in povere cornici synth pop e i devastanti pad che un tempo sapevano radere al suolo qualsiasi apparato acustico prendono ora le sembianze di luccicanti e pacchiani addobi natalizi. E' così che vengono fuori canzoni come ICE (As If She Could Steal A Piece Of My Glamour), New Man, Down Satan Down (che qualcuno possa fulminare Empire per questa nauseante immondizia sonora) e Robot L.O.V.E., esempi di come una mente brillante possa macchiarsi di imperdonabili ingenuità compositive, di come un genio possa diventare il fantasma di se stesso, di come una musica che sembrava la violenza elettronica fatta suono si trasformi in un insieme di irritanti accozzaglie effettistiche e infantili ricerche melodiche.
Inutile scervellarsi per trovare anche un singolo riff degno di nota, e lo è allo stesso livello cercare una scusa, una subdola motivazione per difendere a spada tratta e per coprire il fondoschiena di un artista da cui adesso cola soltanto autocompiacimento e orgoglio per ciò che è stato fatto in un passato ormai sbiadito.
Da 1000 Eyes, insignificante intermezzo elettronico costruito su effetti presi alla rinfusa, a Bug On My Windshield, palese plagio dell'elettronica da club di Ellen Allien, per finire con la piatta No, Why, New York, The Golden Foretaste Of Heaven si perde in continue banalità nonchè in un implacabile susseguirsi di rozzate e venialità che crocifiggono senza ulteriori ausilii un Empire assolutamente irriconoscibile.
Pubblico e critica possono anche incominciare ad affilare le proprie unghie e a limare le proprie linguacce per stroncare a piene mani questo nauseante lavoro: un disco che Empire farebbe meglio a cancellare e a dimenticare, sempre che l'artista tedesco abbia intenzione di proseguire la sua carriera senza interminabili pioggie di critiche sul suo conto. The Golden Foretaste Of Heaven non si merita nemmeno di essere appeso al centro del muro di casa per fare da bersaglio delle nostre frecce avvelenate, per questo non pensateci due volte (sempre se l'avete comprato) a buttarlo dalla finestra, perchè non risentirete di nessun tipo di rancore. Niente di nuovo, niente di sperimentale, niente violenza, niente impatto, niente di niente: che Empire avesse incominciato ad intraprendere una strada diversa era cosa nota a tutti, ma che potesse arrivare fino a questo punto era davvero fuori dalla portata qualsiasi aspettativa. Questa strada si è rivelata, giusto per fare citazioni allo stesso Alec, un Path Of Destruction (per chi non conoscesse, si tratta della geniale opener di Intelligence And Sacrifice) in cui l'arte del maestro tedesco è andata in frantumi con tutta quella violenza che della sua musica è rimasta orfana.
Bocciato, senza mezzi termini. Un disco indecente.