Voto: 
7.3 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Candlelight Records
Anno: 
2001
Line-Up: 

:
Ihsahn – Voce, Chitarra, Basso, Tastiere, Programming
Samoth – Chitarra
Trym – Batteria , Percussioni

Tracklist: 


1. The eruption
2. Depraved
3. Empty
4. The prophet
5. The tongue of fire
6. In the wordless chamber
7. Grey
8. He who sought the fire
9. Thorns on my grave

Emperor

Prometheus - The Discipline of Fire and Demise

Dopo il tour di IX Equilibrium gli Emperor si presero una pausa in cui ogni membro si concentrò sui propri progetti: Samoth e Trym lavoravano con gli Zyklon, mentre Ihsahn completava LP ed EP vari per i suoi progetti Peccatum e Thou Shalt Suffer.
Ciò nonostante, un ultimo disco degli Emperor avrebbe visto la luce. Le notizie che filtravano da dichiarazioni e interviste non erano rassicuranti: inizialmente si seppe che il disco non avrebbe avuto un tour a supporto, e che sarebbe stato composto dal solo Ihsahn. Infine, il colpo di grazia: gli Emperor si sarebbero sciolti dopo l’uscita del disco.
Decisamente una scelta un po’ anomala: queste dichiarazioni solitamente seguono l’uscita dell’album e non la precedono (Einherjer, Limbonic Art, ecc); gli Emperor però hanno sempre fatto ciò che han voluto. Questo li ha portati a cercare sempre un’evoluzione ragionata, fin dalle loro prime releases. Cercare nuove idee, non riproporre le vecchie: questa filosofia di base ha alienato loro molte simpatie da parte delle frange più estreme dei black metallers, portandoli a conoscenza però di un pubblico più vasto.

E il disco conclusivo della loro carriera è questo Prometheus – The Discipline of Fire and Demise.

Importante: Prometheus non è un album black metal. Se in qualche modo vi aspettate reminescenze da In the Nightside Eclipse o Anthems to the Welkin at Dusk rimarrete completamente delusi.
Questo è un disco che va oltre le definizioni, è una specie di metal estremo con tinte sinfoniche, passaggi atmosferici e voci pulite. E’ un evoluzione (o involuzione a seconda dei punti di vista) di IX Equilibrium, pur operando significative innovazioni.
I riffs sono, la maggior parte delle volte, di ispirazione Death Metal (Morbid Angel soprattutto), ma non mancano parti più classiche o alcune vagamente più black (come nella conclusiva Thorns on My Grave).
La batteria velocissima con continui blast beats è il naturale proseguimento di quanto mostrato da Trym su IX Equilibrium: ottima la prova del drummer, che si dimostra uno dei campioni nel suo ambito.
Lo screaming di Ihsahn è migliorato tecnicamente moltissimo dalle prime prove in studio del singer, ma la magia, a mio parere, è perduta. Lo screaming malato dell’EP Emperor o di Nightside è stato sostituito da un cantato migliore, più preciso e perfetto, forse troppo. Inoltre Ihsahn utilizza più frequentemente che in passato la sua voce pulita, con risultati comunque di buon livello.
Le tastiere rimangono, seppure in modo leggermente discontinuo: a tratti sono molto invadenti, a volte quasi scompaiono, ad ogni modo sono sempre caratteristica del loro suono, e sono molto ben suonate.

Le composizioni sono molto intricate ed elaborate, a volte in modo esagerato, risultando un po’ un pastone poco digeribile per gli stomachi non allenati.
Inoltre da metà disco si nota un poco di stanchezza nelle strutture e nelle idee: il suono “riempie” molto, e ciò può portare ad annoiare l’ascoltatore se non segue con grande attenzione le canzoni. Ma soprattutto sono quei brividi dei primi dischi a essere scomparsi: la produzione ottima e professionale rende il disco potente e pesante ma avaro di quelle atmosfere tanto care ai vecchi Emperor, qui definitivamente scomparse.

Le prime songs sono tuttavia di livello alto, ben congegnate e suonate in modo impeccabile (come tutto il disco). Eruption viene aperta dal suono di un’arpa e dalla recitazione di Ihsahn; e si nota fin da subito l’ottimo uso delle tastiere e del sintetizzatore. All’improvviso un riff di chiara matrice Death spezza l’atmosfera e lo screaming arcigno di Ihsahn si fa sentire. Fra cori puliti, accelerazioni, rallentamenti, assoli –chi ha detto Azagthoth?-, passaggi di tastiera ben incastonati nel brano, la track si fa notare come una delle migliori, e ci tiene incollati allo stereo per tutti i 6 minuti e mezzo. Ottimo anche l’utilizzo delle clean nel lungo ritornello.
Si sfocia nella seguente Depraved, aperta anche lei dai sussurri di un Ihsahn molto ispirato. La doppia cassa di Trym fa da sottofondo per tutto il brano a dei riffs di chitarra molto orecchiabili pur non scadendo nel banale o nell’ eccessivamente melodico.
Empty, di cui è disponibile anche un video, inizia subito lanciata, salvo rallentare saltuariamente per degli stacchi di tastiera dal sapore di musica classica (molto belli gli stacchi al minuto e dieci e al minuto e quaranta). Nel finale Trym guida l’attacco con delle accelerazioni devastanti cui tiene dietro lo screaming devastante di Ihsahn.
The Prophet è l’ultima track a tenere molto alto il livello: questa quarta è una canzone particolarmente melodica, più lenta delle altre; si distingue per un refrain particolarmente accattivante, con una melodia cantata in voce pulita. La varietà non manca, e a metà canzone vi sono comunque parti più veloci e violente.

Da qui in poi le songs mancheranno di quel pizzico di genialità e varietà per essere al livello delle prime, pur non essendoci dei pezzi veramente al di sotto di un certo standard, come da tradizione Emperor.
In pratica, i momenti di grande ispirazione non mancano, ma sono molto discontinui.

Apprezzabile comunque il lavoro di Trym alla batteria all’inizio di Tongue of Fire (buona track penalizzata dalla durata eccessiva), così come il bel break strumentale al terzo minuto; mentre la soffocante In the Wordless Chamber è caratterizzata da un lavoro delle tastiere immediatamente riconoscibile.
Istanti di grandezza si ritrovano anche nelle seguenti Grey e He Who Sought the Fire, che non si fanno però notare particolarmente per qualità complessiva.
La finale Thorns on my Grave risolleva invece un disco in fase calante: rabbiosa, veloce e ossessiva, ricorda più delle altre un black moderno senza esserlo totalmente. Ottimo il riffing di Ihsahn e Samoth, su cui Ihsahn stesso dipinge un cantato particolarmente disperato.

Prometheus: né il flop bistrattato dai detrattori, né il capolavoro voluto dai fans, ma un bel disco, ben suonato e composto con classe ed esperienza: un lavoro dalle molteplici sfaccettature, che deve essere ascoltato più e più volte per essere compreso e giudicato.
Pur lontani dai fasti del passato, gli Emperor chiudono degnamente la loro Storia con un buon disco che non merita di essere snobbato solo perché inferiore ai lavori passati della band.

L’Imperatore è morto. Successori non ce ne potranno essere: lunga vita all’Imperatore...

... Of final wishes I ask none
but one -
now that I am gone
lay thorns on my grave...

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