- Jus Oborn - voce, chitarra
- Liz Buckingham - chitarra
- Tas Danazoglou - basso
- Shaun Rutter - batteria
1. Black Mass
2. Venus in Furs
3. The Nightchild
4. Patterns of Evil
5. Satyr IX
6. Turn Off Your Mind
7. Scorpio Curse
8. Crypt of Drugula
Black Masses
Dopo tre anni di silenzio, durante i quali si è assistito nel 2008 al cambio di line-up con la sostituzione del bassista Rob Al-Issa da parte di Tas Danazoglou, gli inglesi Electric Wizard, capitanati come di consueto dalla storica ed inossidabile coppia Oborn-Buckingham tornano sulle scene con il loro settimo sigillo discografico che, pur non risultando all'altezza dei loro capolavori, dà ancora una volta prova delle capacità di quella che può esser considerata a ragion dovuta una delle formazioni più originali del filone stoner/doom a cavallo tra anni Novanta e Duemila, e che possibilmente rappresenta anche un piccolo passo avanti rispetto il precedente Witchcult Today dal quale eredita la produzione in stile anni settanta.
Nonostante questa ripresa dal punto di vista stilistico, le modifiche apportate dal combo di Dorset in Black Masses sono molteplici e di varia natura, anche se comunque non universalmente innovative.
In primo luogo, è da notare rispetto al passato una notevole differenza nel songwriting e quindi nella struttura definitiva dei brani.
La componente doom, da sempre una caratteristica fondamentale, lascia più spazio ad un'attitudine "heavy"; i tipici muri sonori che in passato (in Dopethrone, ma specialmente in Come My Fanatics) venivano innalzati da un riffing molto dilatato ed appesantito da ritmi cadenzati relativamente lenti, sono adesso generati tramite uno stile chitarristico molto vicino a quello della prima fonte d'ispirazione della band, ovvero i Black Sabbath: ciò affiora in maniera più decisa e genuina su ritmi prevalentemente incalzanti, così che da atmosfere opprimenti e stagnanti si passa ad altre si comunque claustrofobiche ed oscure, ma che mettono in risalto il lato stoner/psichedelico della band. Sono difatti presenti innumerevoli divagazioni solistiche dal sapore acido, che riportano alla luce gli Hawkwind di Doremi Fasol Latido, grazie alle quali – complice una registrazione totalmente analogica – le composizioni assumono una consistenza fumosa ed eterea, tanto da sembrare in alcuni casi degli echi lontani che approdano su sponde space rock… non è un caso che le voci siano spesso filtrate e distorte. Non cambia nulla (o quasi) dal punto di vista tematico, le liriche sono infatti per lo più i soliti inni a Satana e all’uso di droghe.
Il risultato è un'opera leggermente più accessibile rispetto gli standard degli Inglesi, dall'aria sicuramente più vintage – considerando la produzione e l'artwork, segno di una volontà precisa – ma non per questo degna di d’esser trascurata.
Rappresenta un palese esempio di ciò che è stato appena detto l'opener Black Mass, un up-tempo che poggia per tutta la sua durata sul medesimo riff via via sporcato da dissonanze, vorticosi giri chitarristici – che in alcuni punti ricordano anche i Colour Haze – ed un cantato sempre più allucinato.
Sulla medesima scia troviamo la successiva Venus in Furs, la quale sembra immersa in un'atmosfera ancora più fosca per mano di un basso maggiormente evidenziato e denso, e di distorsioni chitarristiche più spinte.
Con Night Child si tocca il paranoico; il groove tetro è come messaggero di un pericolo incombente, ed anche in questo caso il pezzo cade progressivamente in un vortice di soli distorti e alquanto nichilisti, conducendoci così a Patterns of Evil.
Su questo episodio il riffing risulta meno denso, ricollegandosi a quello ruvido del brano d'apertura; il trend è però sempre il solito, salvo una "riumanizzazione" da parte di Oborn, che tesse anche trame solistiche più vicine al blues.
Successivamente a questo quartetto, si viene catapultati indietro nel tempo dai quasi dieci minuti di Satyr IX; le coordinate stilistiche rimandano difatti ai primi lavori della compagine britannica: Le ritmiche tornano ad essere tipicamente doom e riappaiono i famosi riff monolitici. Eppure, quando ci si aspetta quasi che la band ritorni nuovamente all'interno dei propri canoni, arriva Turn Off Your Mind a tirare fuori più che mai le influenze sabbathiane; basti considerare il cantato molto vicino a quello di Osbourne, associato ad un songwriting molto meno elaborato.
Il duo conclusivo riassume abbastanza bene le due facce degli Electric Wizard odierni: Scorpio Curse mostra ancora il lato psichedelico e allucinato, mentre la strumentale Crypt Of Drugula, episodio piuttosto inconcludente, con il suo incedere funereo tra fulmini ed un'atmosfera sepolcrale, quello più oscuro.
Detto ciò, nonostante Black Masses non apporti nulla di innovativo all’interno del panorama – considerando che le soluzioni proposte in esso sono qualcosa di già sperimentato – e nonostante nessun pezzo sia memorabile ne prevalga sugli altri dal punto di vista qualitativo, è comunque il frutto di una continua ricerca sonora da parte della band che, non adagiandosi sugli allori, si rimette in gioco dimostrando ancora una volta di non sbagliare un colpo.