- Carlo Casalegno - basso, screams
- Pierre Chindemi - chitarra, effetti, screams
- Francesco Serasso - batteria, percussioni, screams
- Marco Bianchi - voce, synth, chitarra, effetti, cac’o’phone
1. Dancin’ On TV
2. Frozen George
3. Drunk-On’s
4. Insane
5. Desert Eye
6. Because Because
7. Put Your Head In the Sky
8. I Love My Job
9. Paso Adelante
10. Drink To Celia
11. Music Could Be Poison
12. Cinebrivido
13. Camposanto
Don't Panic, Go Organic!
Don’t Panic, Go Organic!, questo il titolo del disco di debutto degli italianissimi Drink To Me, benché l’evidente tendenza allo scardinare e ricostruire giri armonici stridenti e pericolosamente tendenti alla schizofrenia metrica in cui i Nostri sguazzano senza timore alcuno, lascerebbe presagire origini ben lontane dalla conservatrice penisola italiota.
Registrato a Londra e mixato da Andy Savours (Blonde Redhead, Yeah Yeah Yeahs, The Horrors, The Killers, assistente di Adam Moulder), l’album si presenta come un concentrato iper-pressurizzato di Indie-Rock tentacolare, che attira a sé brandelli di New Wave, di Grunge (la traccia d’apertura), di Elettronica e di Hard Core, il tutto interpretato attraverso una personale sensibilità (spesso Brit)Pop che rende freschi e diretti brani altrimenti fin troppo bizzarri ed ermetici.
Proprio grazie a tali variegate influenze musicali, i Drink To Me riescono a sfuggire a quella sbadata abitudine di molte band di lasciarsi etichettare dopo l’ascolto di un paio di pezzi, proponendo sì una commistione delle sonorità verso cui si sentono più debitori, ma dosando ed indirizzando tali suoni verso determinate canzoni, concependo così diversi episodi dalle personalità a sé stanti ed evitando di frullare il tutto in partenza proponendo le stesse soluzioni stilistiche per l’intera durata dell’album.
Una volta inserito il loro disco nel lettore e premuto il fatidico tasto play si può avere un esempio di questo ascoltando in successione le prime 3 tracce della tracklist: dopo i feedback e la pesante e decadente sporcizia Grunge tinta di ironia che ci ossessiona in Dancin’ On tv, con la sua chitarra lenta che sembra incedere passo dopo passo verso atmosfere quasi eteree nel finale, arriva una gemma Power Pop chiamata Frozen Gorge, forte della stessa convincente ma sbilenca energia melodica di certi Yuppie Flu, viene adattata ad una forma dinamica e ballabile con chitarre e batteria in levare in primo piano, ed avvolta in seducenti vesti British.
Infine parte Drunk-on’s, dove crudi e spogli fraseggi intessuti dalle sei corde si alternano ad una voce trascinata, esasperata, quasi alcolica, rincorrendosi nel lento incedere ritmico di una batteria che sembra cullarci su di un altalena, prima di esplodere nel finale breve ma liberatorio.
Ma non è finita, ovviamente.
L’ Hard-Core meccanico e monocromatico di Insane ci spinge verso una nuova ed inedita direzione, velocità furiosa e cadenza serrata che si aggrappa al metronomo, chitarre distorte che insistono su di unico accordo, voci sporche e statiche ci proiettano verso la splendida ed inquietante Desert Eye. Una sorta di sfuriata Pop Rock che richiama alla mente i primissimi Pixies, e benché gli intermezzi Electro-Punk costruiti attorno ad un pericoloso synth che sembra “incastrare” la canzone per alcuni secondi in un loop disturbante ci allontanino di colpo da tali atmosfere, ci pensa l’aggressivo sferragliare delle chitarre a ricondurci altrettanto inaspettatamente ai suoni della famosa band di Boston.
Altre due bombe ci aspettano al varco dopo la pausa rilassata di Because Because.
La prima si chiama Put Your Head In The Sky: dissonanze e spigoli sonori, martellamento primitivo e continuo intervallato da rari momenti in cui ci è concesso prendere il respiro, mentre la voce urla automatica le sei parole del titolo e lascia emergere in sottofondo un synth che traccia melodie tese e nervosissime alla “boss-di-fine-livello-generazione-16-bit”.
I Love My Job prosegue lo stesso discorso ma spostandosi verso un aggressività più agile e melodica, meno ossessiva e claustrofobica, incanalando la sua ferocia in qualcosa di vagamente cantabile.
Paso Adelante ci catapulta immediatamente tra le chitarre leggere e velate di chorus “ottantiano” dei primissimi Cure, insaporendo il tutto con la stessa rabbia trascinante che vertebra la maggior parte delle tracce, mentre l’ipnotica Drink To Celia ci introduce nell’ultima parte del disco, e lo fa trasmettendo una sensazione d’angoscia sottile come uno spillo, che si insinua tra le note taglienti della chitarra ed una voce ubriaca che lascia spazio ad intermezzi strumentali e spiazzanti, in pieno stile dEUS.
Cinebrivido riprende in qualche modo le atmosfere Pop-Rock più convenzionali introdotte da Frozen Gorge in precedenza, la sua ballabilità contagiosa, le chitarre che scorrono frizzanti fanno da contorno a quell’ inusuale finale che è Camposanto: Psichedelia, sperimentazione, Folk, schegge di Elettronica ed una lunga coda che affoga nel Noise e nei vibranti feedback di chitarra compongono degnamente il capitolo conclusivo di questo debutto dei Drink To Me.
C’è veramente poco di cui lamentarsi parlando di questo disco.
Grandi e disparate influenze, riconoscibili ma ben amalgamate con il corpo del disco, senza contare un utilizzo della lingua inglese assolutamente convincente ed un esecuzione in equilibrio tra istinto ed esperienza, rasoiate distorte e brillanti ma insolite armonie Pop.
E’ anche vero che chi non apprezza l’attitudine tipicamente “Indie” fatta anche di soluzioni che talvolta sembrano voler risultare bizzarre e dissonanti a tutti i costi, non potrà apprezzare totalmente questo lavoro, talvolta ispido, talvolta acido, melodico ma mai totalmente “pulito”.
In ogni caso vale sicuramente la pena ascoltare Don’t Panic, Go Organic! , un disco che con la sua positiva eterogeneità rappresenta un ottima garanzia per il futuro dei Drink To Me, nonché un grandioso esempio della qualità del rock tricolore underground, capace di confrontarsi con le ben più pubblicizzate realtà estere tenendo loro testa.