- Blutaar –Voce
- Winter – Chitarra Solista, Tastiere
- Arn – Chitarra
- Orloc – Batteria
1.Zum Haff hinaus...
2.Blót - Lohen der Opferung
3.An den Pforten des Sturmes
4.Gebaren des Sterbens in klanglosen Spharen
5. Sævar niðr
6.Styrt ned i Mælstraumen
7.Dusk of the Fimbulwinter
8.Hehre Runen in Dämmer und Eis
9.Gen Niflheim...
Throne of the Depths
Recente acquisto della Lupus Lounge, i tedeschi Drautran sono un gruppo attivo da circa una decina d’anni, ma con alle spalle una sola pubblicazione, l’autoprodotto “Unter dem Banner der Nordwinde” risalente al 2000: a distanza di quasi otto anni, il quartetto di Kiel propone ora un nuovo album, “Throne of the Depths”, con il quale tenta di dare lustro e fama al proprio nome, facendosi largo nel sovraffollato panorama Black Metal europeo.
I Drautran infatti suonano un Pagan Black Metal tipicamente teutonico, affilato e roccioso, arricchito da alcune tastiere d’atmosfera di scuola Emperor (che talvolta, a dire il vero, si prendono qualche libertà melodica e intessono anche discrete armonie) e inframmezzato da pause arpeggiate: nulla di nuovo sotto il sole, dunque, e i quattro tedeschi, pur bravi nello sfornare diverse buone idee muovendosi all’interno di schemi prestabiliti, risultano incapaci di elevarsi al di sopra della media generale, né per capacità tecnico-compositive né per intuizioni originali.
Estremamente feroce, il riffing Pagan delle chitarre di Winter e Arn è ben supportato dalla batteria-schiacciasassi di Orloc, veloce e agguerrita, ma non trova un degno supporto nelle corde vocali di Blutaar, il cui screaming è veramente troppo poco incisivo, essendo sì lacerante ma anche indistinguibile ed inespressivo, nonché soffocato dal marasma chitarristico che gli turbina attorno – proprio la mancanza di una voce che sappia assumere una posizione di leadership (anche le parti pulite/corali sono ben poco efficaci) impedisce al disco di trovare una propria dimensione: il lavoro risulta quindi più confuso di quanto in realtà non sia, e perde in freschezza e varietà, risultando quindi indigesto agli stomaci di chi è abituato alla grande dinamicità del moderno Viking, spesso caratterizzato da momenti vocali di grande epicità e spessore.
Elementi positivi si riscontrano comunque nel corso del disco, risultando in una pubblicazione che, pur non eccellendo, potrebbe comunque interessare i fanatici tout-court del genere: “Throne of the Depths” naviga appena sopra il limite della sufficienza, grazie a diverse buone trovate: l’atmosferica “Sævar niðr”, per voce femminile e chitarra acustica, è una bella, seppur scontata, introduzione per la lancinante “Styrt ned i Mælstraumen”, che echeggia i Manegarm d’annata per l’estrema gelidità delle chitarre, le voci sferzanti e l’atmosfera tipicamente nordica – è il preludio ad una seconda metà di disco spesso intrigante -ottima la finale “Gen Niflheim...”-, penalizzata però da una prima sezione piuttosto inceppata e monotona: cinquanta minuti, per il debutto ‘professionale’ dei Drautran, risultano essere troppi, in quanto il gruppo non è in possesso di una quantità di idee tale da convincere per tutta la durata dell’album; una maggiore concisione e una più rigida scrematura durante la scelta delle canzoni, in futuro, potrà essere d’aiuto per meglio affinare la resa complessiva del proprio prodotto.
I Drautran si dimostrano in possesso di discrete capacità, ma per aspirare al raggiungimento del livello dei più quotati acts del settore il combo di Kiel ha bisogno di un notevolissimo salto di qualità. Da effettuarsi, magari, entro i prossimi otto anni...