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- Jocke Göthberg - voce
- Glenn Ljungström - chitarra
- Jesper Strömblad - basso
- Hans Nilsson - batteria
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1. Silent Night Fever
2. The Murder Inn
3. Through the Virgin Sky
4. Your Darkest Hour
5. Not Even Dead
6. They Are Waiting to Take Us
7. Until You Die
8. End
9. Slow Silence
Silent Night Fever
I Dimension Zero sono il side-project nato nel 1995 dalla mente di Glenn Ljungström, ex-membro degli In Flames, e Jesper Strömblad, già chitarrista di In Flames, Hammerfall e Ceremonial Oath - ma che qui si dedica principalmente al basso. A loro si aggiungono il batterista Hans Nilsson (Liers in Wait, Diabolique, Crystal Age) e il vocalist Jocke Göthberg (Marduk, Wolfpack/Wolfbrigade, Darkified, Moment Maniacs, Grimorium, Cardinal Sin) con l'intento di "brutalizzare lo stile degli In Flames", ma a parte un paio di demo rimasti nell'anonimato il gruppo si scioglie dopo un po'. Nel 2000 tuttavia i quattro tornano insieme e pubblicano il loro primo disco Silent Night Fever nel 2002.
Il gruppo riprende direttamente il death melodico martellante e caustico che già fu degli At the Gates di Slaughter of the Soul, ma lo "stempera" con diverse soluzioni. Innanzitutto, una vena relativamente ancora più melodica, che potrebbe anche essere fra le possibili conclusioni a cui sarebbero giunti gli svedesi se non si fossero sciolti nel 1995 (visto il profondo debito stilistico dei DZ nei loro confronti), ma questa vena comunque deve qualcosa sia a gruppi come gli In Flames e gli Arch Enemy della metà degli anni '90 sia all'evoluzione della scena musicale di Gothenburg nella seconda metà del decennio. In secondo luogo come conseguenza di ciò, che però risulta ancora più rilevante, è che i Dimension Zero perdono la drammaticità, l'afflizione, la rabbia viscerale e genuina degli At the Gates.
In parte semplicemente sostituiscono queste caratteristiche con il loro approccio maggiormente catchy e d'impatto (mutuandolo da un ambiente ancora più orientato all'hardcore/thrash come anche dai gruppi più melodici fra quelli rimasti nel settore più estremo, e legati agli schemi musicali più tradizionali della scena musicale svedese, come Defleshed, Haunted, Carnal Forge); in parte cercano di farvi il verso e imitarlo, sfociando però in un mero esercizio di stile che non ha nulla della spontaneità e della corposità che già furono dei Tompa e soci pure nel loro disco più "pulito" e melodico, finendo per suonare fin troppo schematico.
Il disco difatti è pesantemente e concettualmente derivativo e di maniera, concepito in ogni suo singolo fraseggio per seguire precisi stilemi triti e ritriti in maniera stancamente prevedibile, degli stilemi pensati appositamente per il sotto-pubblico del melodic death metal svedese & derivati. Inoltre la prova vocale di Goethberg, seppur aggressiva, non ha nulla dell'espressività e del furore di Lindberg.
Per contro il disco risulta molto scatenato, martellante e trascinante, soprattutto grazie alla batteria nettamente più violenta: fin dall'opening Silent Night Fever (forse il loro brano più famoso e di maggior successo) con i suoi riff accattivanti ed abrasivi, seguita dalla successive The Murder Inn (che seppur espandendo il lato melodico con spunti dai primi In Flames risulta più ripetitiva e monotona), Through the Virgin Sky (titolo ricopiato dallo stile degli At the Gates; è più schizzata ma il ritornello e le brevi frasi recitate nell'intermezzo sono di whoracleiana memoria) e Your Darkest Hour (misto fra melodeath cupo, thrash/death e metalcore moderno che ha buoni spunti ma soffre ancora di un pizzico di ripetitività) l'ascolto è divertente e per chi cerca esclusivamente queste sonorità c'è davvero pane per i propri denti. Lo stesso, in teoria, si potrebbe dire per brani come Not Even Dead, che non aggiunge nulla a quanto incontrato tranne un breve interludio melodico, l'incalzante They're Waiting to Take Us o la violenta Until You Die, che non hanno neanche quello. Consideriamo anche che la buona produzione lo rende ampiamente assimilabile e abbiamo un disco che non dice nulla di nuovo, si perde nel mare delle uscite musicali (svedesi e mondiali) e non definiamo troppo impersonale solo perché i componenti del gruppo che hanno scritto la musica sono furono in diretto contatto con queste sonorità; ma per i fan del genere questo disco può risultare davvero godibile e divertente, garantendo un ascolto per nulla impegnativo ma sicuro di risultare pesante e al tempo stesso orecchiabile.
Nel finale del disco abbiamo la bruciante End, che però ormai eccede troppo nel ricalcare gli At the Gates, e la conclusiva Slow Silence che va ancora più in là, è praticamente una insipida copia di The Scar (per le malinconiche note di chitarra semi-pulita, le tonalità e la struttura) e volendo anche di The Flames of the End, visto il posizionamento in coda al disco come ending atmosferica.
Come già detto, questo disco non è per nulla originale, si tratta di una sorta di revival dichiarato di precisi stilemi (distesi) che nella metà degli anni '90 fecero furore in Svezia. Tuttavia il songwriting nel suo genere, nonostante la palese e a tratti eccessiva derivazione, si rivela migliore del previsto (soprattutto di molte imitazioni al di fuori della Svezia), e per i fan di queste sonorità ci sono sufficienti carte in regola per un ascolto potente e divertente.
Chi cerca qualcosa di maggiormente significativo tuttavia passi oltre, ed il disco sulla prova del tempo fallisce il confronto con altri gruppi svedesi che proprio nello stesso anno rilasciarono dischi molto più freschi e creativi.