Eleanor Everdell - Vocals
Jason Friedman - Instruments
- Building in L.O.V.E.
- Tom Tom
- Ghosts
- Sleepwalkers
- In To It
- It’s Only Everything
This Desert
Un sound da giungla cittadina è quello che offre il duo newyorkese The Hundred in the Hands, composto dallo strumentista Jason Friedman e da Eleanore Everdell, voce del duo. L’ Ep d’esordio (a cui è seguita la pubblicazione del primo album, omonimo del gruppo) si intitola This Desert ed è un’azzeccata trafila di sei pezzi solidi e dotati di una particolare personalità, capaci di incastrarsi perfettamente l’uno nell’altro. Immersi tra beats e sintetizzatori, i due realizzano un universo sonoro che si rifà decisamente alle sonorità ottantine, prendendo ispirazione anche da gruppi più recenti, come i Crystal Castles, con cui condividono certi approcci al dream pop ma capaci di creare melodie più accessibili e sperimentazioni meno azzardate, un po’ come se fossero i loro “fratelli buoni”. La traccia di apertura è Building in L.O.V.E., un pezzo dai ritmi sostenuti delle epocali sonate dance degli anni ’70, con tanto di basso insistente, drum machines e synths su cui si adagia la voce piena della Everdell che suona ora solenne, ora isterica, ora sensualmente lasciva. Le drum machines possono esprimere tutta la loro potenzialità in Tom Tom, il pezzo cardine, il motore attorno a cui gravita l’intero Ep (non a caso, scelto come singolo), pur avendo le altre tracce molto poco da spartire con esso. E’ un pezzo divertente e freschissimo, in cui le percussioni sintetiche dipingono paesaggi tratteggiati come luci strobo dai mille colori fluo nel buio di una discoteca degli anni ’80, tra cui si incuneano trascinanti linee di tastiere che vanno e vengono come ondate di elettricità pura e un cantato leggero e bambinesco che ricorda (anche in alcuni punti del testo) Emiliana Torrini, che si risolve in un etereo coro a metà tra gospel e gregoriano. Altra punta di diamante è Sleepwalkers, la canzone più acustica tra le sei che compongono l’extended play, con incisivi giri di basso e melodie chitarristiche sovrapposte ed effettate in modo tale da creare, col contributo delle tastiere, un muro sonoro onirico e inafferrabile, sostenuto da una sezione ritmica e una vocalità ossessiva e malinconica che ricordano molto da vicino la Natasha Khan (Bat for Lashes) di “Two Suns”, col risultato di creare un pezzo di dream pop genuino e magnetico. Molto notevole è anche It’s Only Everything, pezzo di chiusura, sintetiche melodie futuristiche e cantato energico e scostante su beats incalzanti che ora gravitano intorno a bassi implacabili, ora scivolano su tastiere setose. Meno interessante risulta invece Ghosts, dal bell’impianto acustico e dall’oscura atmosfera scandinava à la Röyksoppma che risulta forse un po’ troppo monotona. In To It, cantilena eterea costruita su semplici melodie e cori, appare solare e in alcuni tratti quasi psichedelica, salvo rivelarsi alla fine piuttosto inconcludente.
Il viaggio attraverso This Desert risulta molto piacevole, dal momento che le melodie sono ben solide, gli arrangiamenti molto curati e particolari e la voce decisa e vellutata di Eleanore appare versatile e capace di adattarsi (sebbene non sempre in maniera impeccabile) al tono delle diverse canzoni. Gli Hundred in the Hands sono riusciti ad inserirsi con questo Ep nel vivo del trand odierno, che occhieggia ai tastieroni eighties e al retrò. Nulla di innovativo insomma, ma fatto con un tocco inequivocabile di originalità.