- Beatrice Valantin - voce
- Gerard Madilian - duduk
- Mia Bjorlingsson -batteria
- Aret Madilian - voce, chitarra, saz, basso, armonica, tastiere, percussioni
1. Book Of Change
2. Stay On
3. Roses
4. Aravod Luys
5. Be Still
6. Temples
7. Somehow
8. Jardin
9. Fill My Heart
10. Traffic Lights
11. Arev Tibav
Fourth, Part One
Frammenti psichedelici intrisi di un’aura di desolazione sono quelli tessuti dai Deleyaman, peculiare gruppo costituitosi nel 2000 in Normandia e autore già di quattro capitoli discografici. Intorno al nucleo principale della formazione si sono accostati al progetto anche numerosi altri musicisti di varie nazionalità (americana, svedese ed armena), per contribuire alla creazione di un sound capace di esplorare trasversalmente più tradizioni musicali; quello dei Deleyaman è una sorta di Folk noir, carico di atmosfera neoclassica e spunti etnici ma non privo di un gusto retro’ che corre indietro fino ai vagiti psichedelici sessantiani.
Sebbene le influenze dei quattro componenti cardine del gruppo spazino dai Doors al Post-Punk inglese degli Ottanta, l’avvolgente tappeto di suoni tessuto consente la conciliazione dello sperimentalismo europeo con una preziosa patina orientale, accentuata dal largo impiego del duduk, strumento a fiato di origine armena.
Dopo la pubblicazione nel 2006 del terzo episodio di studio, 3, i Deleyaman hanno voluto raccogliere i 25 nuovi brani plasmati in un set due dischi, denominati semplicemente Fourth.
Edito dalla TTO Records negli Stati Uniti e dalla Equilibrium Music in Europa, Fourth, Part One rappresenta un esempio di come i Deleyaman riescano a fondere la loro vena eterea con un mood introspettivo di matrice tenebrosa; basta accostarsi all’incipit di Book Of Change per comprendere il valore di un’opera in grado di giungere alla concreta commistione tra il gusto neoclassico o sublime ottantiano (testimoniato dal classico binomio Dead Can Dance-Cocteau Twins) e il fascino nordico delle nuove leve del Folk noir.
Più si procede nell’ascolto di Fourth, Part One, più si riesce a percepire la varietà intrinseca di un’opera discografica che si pone come mediatrice all’interno del vasto panorama oscuro, poiché la liturgia di Aravod Luys si contrappone allo spirito cantautorale di Be Still o alle disperate reminescenze Wave di Temples.
L’alternanza di toni vocali maschili e femminili arricchisce ulteriormente la veste dell’album, trasportando l’ascoltatore nei lidi più desolati della natura umana; immancabile poi il tratto stilistico dei Piano Magic di Writers Without Homes nell’ottava traccia, Jardin, interpretata in francese e caratterizzata da un sapore di bizzarra mestizia.
In definitiva, si può affermare che i Deleyaman raffigurino l’ennesima testimonianza dell’evoluzione contemporanea delle sperimentazioni dei Dead Can Dance, così come ormai si sta ponendo gran parte delle nuove formazioni del sottobosco Neo Folk; tuttavia, brani come Fill My Heart, pur incarnando la natura di epigoni degli eterni classici del filone Dark-Wave neoclassico, non possono non essere apprezzati per la loro tetra fluidità e per la loro evocativa eleganza.