Voto: 
9.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Combat Records
Anno: 
1988
Line-Up: 

- Chuck Schuldiner - voce, chitarra, basso (non creditato sull'album)
- Rick Rozz - chitarra
- Terry Butler - basso (in realtà non registrò mai)
- Bill Andrews - batteria

Tracklist: 


1. Leprosy
2. Born Dead
3. Forgotten Past
4. Left to Die
5. Pull to Plug
6. Open Casket
7. Primitive Ways
8. Choke on It

Death

Leprosy

"born dead into this world, it's their choice, why can't you see"

Subito dopo la pubblicazione del debutto del suo gruppo, Schuldiner, assieme a Rick Rozz (mentre Reifert era rimasto con gli Autopsy), recluta Bill Andrews e Terry Butler (futuri Massacre) per la registrazione del secondo album, anche se il secondo in realtà non avrebbe mai partecipato alle sessioni in studio.
Bisogna dire che Scream Bloody Gore fu sì epocale e seminale: ufficialmente il primo disco death metal (anche se ufficiosamente si poteva parlare di proto-death in alcuni altri casi), nonché con ciò un innovativo sdoganamento di tematiche, sonorità e attitudine musicale che iniziarono all'epoca ad inserirsi con forza nel panorama metal, attraversando autorevolmente il sentiero che altri gruppi, come ad esempio Slayer, Possessed o Venom, avevano iniziato a sterrare; ma è Leprosy ("lebbra") che istituzionalizza definitivamente il death metal, formalizzando tutte le basi ed i topòi che faranno da materia prima al genere. L'avanzamento musicale mostrato in quest'album supera le aspettative spingendo al limite la furia compositiva, rifinendo tutta la tecnica esecutiva del gruppo e interiorizzando sempre più l'immaginario violento e morboso gravitantevi attorno, Leprosy finisce così per far diventare i Death la quintessenza del death metal.
Comunque in Florida, fertile culla d'infanzia del death metal, stava esplodendo la scena con nomi di tutto rispetto e che spesso, per creatività e significatività, marciavano a testa alta: Master, Morbid Angel, Obituary ecc. rapidamente esordirono portando ciascuno la propria personale interpretazione del death metal. Ma Chuck Schuldiner, vero e proprio apripista del movimento con i suoi Death, rimane in ogni caso uno dei pilastri fondamentali di tutto il genere.

Leprosy, registrato sotto l'egida di Dan Johnson, mostra un deciso consolidamento stilistico. La violenza viene controllata maggiormente, ottenendo così non soltanto un risultato migliore dal punto di vista musicale (suono più maturo e compatto), ma anche un forse involontario rendere il tutto più cupo e opprimente, più subdolo, cinico, intimorente. Si può dire che c'è più tecnica anche nel senso più "accademico" del termine - comunque non quanto si vedrà nei successivi capitoli discografici.
Le tematiche questa volta sono inoltre più a fuoco, esplorando la sofferenza causata da malattie morbose e le patologie psichiche più raccapriccianti; più che gettarci al centro di un convitto ritualistico di non-morti in un vortice di terrore e disperazione, questa volta si gettano in faccia nude e crude immagini scioccanti, in quanto sempre più reali, di contagi letali, collassi fisiologici/nervosi e corpi purulenti. Ancora una volta, l'obiettivo non è stupire tanto per, ma angosciare, testimoniare un mondo nero attorno a noi, riflettere i risvolti più oscuri e innominabili della realtà che ci circonda.

L'iniziale titletrack Leprosy viene introdotta da un cupo e raggelante crescendo di chitarra e batteria, a cui subito si sostituiscono riff veloci e monolitici, batteria spietata, poliritmi maligni, urla catarrose a catalizzare l'aura opprimente dell'album, assoli taglientissimi con tremoli e note acute a dipingere un contrasto spaventoso, quello della tecnica nitida e chirurgica a servizio di un sound da incubo.
Born Dead è una furia primordiale che si oppone ad una non-vita disumanizzante in cui è come se si "nascesse morti", metaforicamente parlando, senza scampo, nè pietà, e predestinati ad una lenta agonia in un mondo spietato denunciata nel micidiale chorus.
La successiva Forgotten Past insiste su scariche sempre più micidiali e raggelanti, con chords velocissimi seguiti da assoli alienanti che poggiano su di un binomio batteria a valanga/riff magmatico che non fa altro che esaltarne la spaventosità. I bassi pulsanti riescono ad essere anche più ossessivi del tapping, ma sono le sfuriate di chitarra al solito a fare da arieti in questo senso.
La successiva Left to Die è un incubo spaventoso di abbandono e nichilismo, soffocante: la furia brutale dei riff di chitarra, della batteria e del canto urlato-catarroso sono come una risposta all'angoscia e al disagio interiore di tali situazioni, un urlo disperato per evitare la silenziosa decomposizione (non solo fisica).
Con Pull the Plug vengono sperimentate le soluzioni (relativamente) più tecniche ma anche, in un certo senso, melodiche del disco, ma lasciano sempre strada poi a sfuriate brutali. L'assolo urlato dalla chitarra è uno dei più terrificanti, non solo per la sua espressività intrinseca, ma anche come al solito grazie al lavoro di sostegno costruito sotto di esso. I suoni diventano così un'allegoria per il terrore di rimanere in stato vegetale, in coma, senza più una vita perché è come se fossimo già morti.
Open Casket a questo punto non aggiunge molto, punta sulla velocità ma lascia spazio a distensioni minime, interventi slayeriani e la consueta dose di atmosfere agghiaccianti che fanno sembrare la musica la colonna sonora perfetta per accompagnare la violenza raccapricciantemente precisa di un coroner psicopatico.
Primitive Ways esalta ancora la violenza e la velocità; infine Choke on It è il pezzo più "lento" di tutti, sempre tenendo a mente che ciò è in pieno un eufemismo.

Nel 1988 questo album si rivela uno dei più paurosi e drammatici mai concepiti e i Death si rivelano così a tutti gli effetti lo strumento personale di Chuck Schuldiner per esprimere tutte le proprie idee musicali e non. Un disco terrificante già di per sè, ma lo è ancora di più per la consapevolezza che l'essenza del death metal è reale.

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