- Ben Gibbard – voce, chitarra, organo
- Christopher Walla – voce, chitarra, organo
- Nathan Good – batteria, percussioni
- Nick Harmer – basso, tastiere
1. President of What? (04:06)
2. Champagne for a Paper Cup (02:34)
3. Pictures in an Exhibition (04:03)
4. Hindsight (03:48)
5. That’s Incentive (02:13)
6. Amputations (04:03)
7. Two Cars (03:31)
8. Line of Best Fit (05:49)
9. This Charming Man (02:15)
10. TV Trays (04:02)
11. New Candles (03:03)
12. Tomorrow (02:17)
13. Flustered/Hey Tomcat! (02:56)
14. State Street Residential (05:51)
15. Wait (03:35)
16. Prove My Hypotheses (04:12)
17. Song For Kelly Huckaby [Facts Version] (03:52)
18. Army Corps Of Architects (04:43)
You Can Play These Songs with Chords
Dolce, amara o addirittura imbarazzante, la prima volta di una band verrà ricordata nel tempo come il primo, fondamentale passo nel variegato percorso che lo scenario della musica internazionale offre ai tanti volenterosi musicisti.
Correva il 1997, per i neonati Death Cab For Cutie del chitarrista Ben Gibbard, quando la Elsinor Records, sconosciuta casa discografica statunitense, decise di scommettere su questo strano nome che il musicista aveva rubacchiato ad una canzone del 1967 degli stravaganti (per lo meno nel nome) Bonzo Dog Doo-Dah Band.
Fu una scommessa felice, perchè il nome Death Cab For Cutie rispose alla grande e la prima audiocassetta prodotta (seppur in maniera artigianale) conferì al progetto di Gibbard (inizialmente nelle vesti di un solo project) le giuste credenziali per muoversi al meglio nell’intricato labirinto che l’avrebbe condotto al successo. Furono proprio i più che soddisfacenti risultati della prima apparizione nel mercato americano a convincere Gibbard che, forse, era il caso di tramutare il suo Death Cab For Cutie in una vera e propria band. Ecco spuntare, dunque, l’allora sconosciuto Christopher Walla alla chitarra, Nicholas Harmer al basso, Nathan Good alla batteria.
La prima parte di You Can Play These Songs with Chords (il disco è diviso in due tronconi) presenta otto canzoni che possono essere assunte come il primo mattone posato da Gibbard per costruire i Death Cab For Cutie. Per le correnti musicali imperanti nel 1997 non possiamo non dire che fu una vera e propria sorpresa. President of What? è incalzante e giustamente posta in apertura come pezzo “riempipista”, ma già nella successiva Champagne From a Paper Club emerge il lato più malinconico ed introspettivo dei Death Cab For Cutie. A dominare la scena sono i suoni ovattati e resi per questo forse ancor più fascinosi delle pionieristiche registrazioni delle origini. Lo si avverte nella pur bella Pictures In an Exhibition, così come ce ne accorgiamo nella virtuosa Hindsight che più ricorda all’ascoltatore abituato ai Death Cab moderni il loro marchio di fabbrica. E’ un pezzo semplice, in cui la voce emerge nettamente e si lascia appena contornare dall’arrangiamento minimale di chitarra, basso e batteria.
Con That’s Incentive, sotto i riflettori è posto il lato meno paziente e più schietto di Gibbard e compagni. La traccia, tra accordi di chitarra, veloci e poco formali, ci ricorda qualche concerto punk vissuto tra centinaia di cuori pulsanti in uno striminzito locale. Due minuti e qualcosa bastano e avanzano per tornare a parlare nella lingua che sarà poi quella caratteristica dei Death Cab For Cutie. Amputations, Two Cars, quindi è il turno di Line of Best Fit, ballata malinconica e dall’atmosfera pesante, che chiude la prima parte del quadro.
Esordio in tono maggiore, scrissero in molti.
I Death Cab hanno deciso di rispolverare questo disco nel 2002, sotto Barsuk Records, facendone un collage con una serie di rarità ed altri pezzi scritti e registrati dalla band dopo l’annessione dei vari Walla, Harmer e Good. A partire dalla “fulminea” cover This Charming Car, degli storici The Smiths di Morrissey, che i Death Cab consumano in poco più di due minuti tra chitarre distorte e forsennate percussioni.
Le altre registrazioni, effettuate tra il 1996 ed il 2000, sono rispolverate, tirate a lucido e disposte in serie per far venire l’acquolina agli appassionati del genere ed ai fans della band.
Colpisce la creatività della formazione di Bellingham, che in Tomorrow (arrangiata in versione elettronica) coniuga melodie da pista da ballo ad un messaggio profondo: è il pezzo in cui la band consolida l’amicizia creatasi tra i componenti. “Una sorta di preludio agli anni che verranno”, scrive il bassista Nicholas Harmer nella specifica dedica che appare nel book allegato al cd.
La dimensione “sperimentale” non si esaurisce: anzi, prosegue con Flustered/Hey Tomcat!. Quindi, i Death Cab For Cutie riprendono il filo del discorso interrotto poco prima e propongono alcune altre chicche della loro fase pionieristica, per così dire. Prove My Hypotheses anticipa quello che sarà il futuro sound della band, mentre Song For Kelly Huckaby è l’immagine di una donna che si sveste lentamente, in un’atmosfera di grande intimità. Con l’altra ballata, la virtuosa Army Corps of Architects (superbo l’utilizzo degli organi nella parte finale), si chiude la rassegna.
Perché di rassegna si tratta, a conti fatti, per questo “strano” prodotto che crea un connubio tra il lavoro originale e quanto ad esso è indissolubilmente legato. Perché la storia di un disco non si chiude mai, a parer nostro, tra le mura della sala di registrazione. Un disco finisce quando ne comincia un altro. Oppure, in qualche caso, il mondo che ad esso è legato continuerà a fornire nuovi spunti in eterno. I pezzi che trovano posto nella seconda parte di You Can Play These Songs with Chords sono, infatti, un sentito omaggio della band alla folta schiera di affezionati che questa ha attirato nel corso del tempo.
Certo, non è questo il full-lenght ideale per chi vuole iniziare a conoscere i Death Cab For Cutie. Potrebbe spaventare, la commistione di vecchio e nuovo proposta dopo cinque anni dall’uscita, nel 1997, della audiocassetta originale. Per i fans di questi quattro musicisti di Bellingham, invece, non v’è dubbio che You Can Play These Songs with Chords rappresenti una gemma da custodire con cura.