Voto: 
6.4 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Etichetta: 
Peaceville Records
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Nocturno Culto – Chitarra e voce
- Fenriz – Batteria e Voce

Tracklist: 


1.The Winds They Called the Dungeon Shaker (3:52)
2.Oath Minus (4:16)
3.Hiking Metal Punks (3:21)
4.Blacksmith of the North (3:13)
5.Norway in September (5:46)
6.Grizzly Trade (4:16)
7.Hanging Out in Haiger (3:22)
8.Dark Thrones and Black Flags (2:24)
9.Launchpad to Nothingness (4:31)
10. Witch Ghetto (3:56)

Darkthrone

Dark Thrones and Black Flags

We are older and wiser (and) the underground thrives
(but) posers are the same with their metal lies
In a seance of insanity with maniacal screams
Does your metal knows what metal really means?


“Dark Thrones and Black Flags”. Come al solito, i dischi dei Darkthrone sono espliciti fin dal loro titolo, spesso ottima chiave di lettura per inquadrare il loro contenuto: e l'accostamento della propria band ad un gruppo storico dell'Hardcore statunitense anche stavolta non è casuale, visto che il nuovo album di Culto e Fenriz prosegue imperterrito, sprezzante ed entusiasta in quel percorso fatto di Black'n'Roll, Crust Punk e Thrash Metal inaugurato col botto dallo splendido “The Cult is Alive” (2006) e poi ribadito meno brillantemente da “F.O.A.D.” (2007).

Composto e registrato piuttosto frettolosamente, “Dark Thrones and Black Flags” fa della sporcizia e del sudiciume del proprio sound un vero e proprio cavallo di battaglia: è forse il disco dei Darkthrone peggio prodotto e mixato (il che è tutto dire), con una qualità di suono infima – tutto voluto, ovviamente, dalle chitarre gracchianti alla voce rugosa, con i due vecchi marpioni a dividersi equamente gli oneri per quanto riguarda composizione, stesura delle liriche ed esecuzione.

Poco altro da annotare, se non che il poco tempo speso in fase di composizione si ripercuote abbastanza sonoramente sulla qualità del riffing, non sempre brillante, anche se questa volta è meglio coadiuvato dai ritmi della batteria, che abbandonano i monolitici tempi simil-Doom di “F.O.A.D.” per tornare a velocizzarsi e quindi a dare intensità, energia ed adrenalina al suono del gruppo.
Veramente ottime “The Winds They Called the Dungeon Shaker”, “Hiking Metal Punks” e “Witch Ghetto”, poco più che sufficienti le altre, per un album discreto che viaggia più o meno sui binari qualitativi del precedente “F.O.A.D” ma che non riesce a riprendere la grande ispirazione di “The Cult is Alive” – la cui bontà a questo punto viene da dubitare possa essere bissata.
Poco male comunque, il disco è un'onesta legnata old-school che non mancherà di soddisfare chi ha apprezzato gli ultimi due album della band, anche se il calo qualitativo rispetto a “The Cult is Alive” è abbastanza netto, e la staticità del sound della band dovrebbe perlomeno essere supportata da canzoni di qualità maggiore per tornare su livelli ottimali.

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