Voto: 
7.7 / 10
Autore: 
Salvo Sciumè
Genere: 
Etichetta: 
Beggars Banquet
Anno: 
1987
Line-Up: 

- Ian Astbury - voce
- Billy Duffy - chitarra
- Jamie Stewart - basso
- Les Warner - batteria

Tracklist: 

1. Wild Flower
2. Peace Dog
3. Lil' Devil
4. Aphrodisiac Jacket
5. Electric Ocean
6. Bad Fun
7. King Contrary Man
8. Born To Be Wild
9. Love Removal Machine
10. Outlaw
11. Memphis Hip Shake

Cult, The

Electric

Mentre Love aveva avviato il loro processo di trasformazione da band dedita a sonorità dark/gothic a stilemi più tipicamente hard rock, Electric invece è l'album che decreta la piena e definitiva realizzazione di tale passaggio. Uscito nel 1987 infatti, questo è il lavoro con il quale i Cult del carismatico vocalist Ian Astbury sembravano anticipare le prossime derive stradaiole che da lì a poco avrebbero caratterizzato l'hard rock di fine anni '80, senza neanche dimenticare l'influenza che il loro sound eserciterà in seguito sull'evoluzione di certo hard rock e del post-grunge nella seguente decade.
Controversi come sempre, soggetti a critiche pesanti e di contro a successi quasi clamorosi, i britannici riescono ad essere innovativi senza apportare niente di nuovo nel panorama musicale, tanto da essere addirittura accusati di essere fin troppo derivativi e poco originali. E' da sempre stata proprio questa una delle maggiori peculiarità e contraddizioni del combo inglese, quella di riuscire ancora una volta ad essere anticipatori di un genere, in tal caso lo street/hard che si sarebbe affermato proprio sul finire di quegli anni '80 che li ha visti protagonisti, pur non apportando nessuna rivoluzione sonora ed anzi rimanendo nettamente influenzati dal rock settantiano, dal quale continuavano a pescare a pieni mani. Insomma, i Cult non saranno forse dei precursori o degli ispiratori, di sicuro però loro le mode non le seguono, ma le anticipano.

Il ventaglio di influenze presenti su Electric si amplia maggiormente rispetto ai precedenti lavori, infatti mentre non mancano le solite influenze degli immancabili Doors e Led Zeppelin, si fanno più accentuate quelle di Rolling Stones, Cream ed AC/DC, giungendo in tal modo ad un hard rock sanguigno, caldo, bluesy e in pieno stile "seventies". In tal senso proprio il brano più noto del lotto, vale a dire Lil' Devil, è una vera e propria dichiarazione d'intenti, un hard intriso di blues e riff elettrizzanti che rimandano direttamente agli AC/DC, dando vita ad un brano energico, trascinante e potente.
La loro ammirazione per i grandi del rock non è nemmeno velata o nascosta, e non solo per la presenza di una cover come Born To Be Wild degli Steppenwolf, qui in versione particolarmente metallica, ma per tutta una serie di rimandi a band storiche e seminali che si rincorrono con criterio in tutto il disco, affascinati come sono dai grandi rockers del passato nello stesso modo in cui lo erano della storia e la cultura dei nativi americani. Facile intravedere nell'opener Wild Flower gli echi dei Rolling Stones, seppur rivisti in una veste più intimista e quasi onirica, e lo stesso avviene in Love Removal Machine, uno dei singoli estratti e altro pezzo forte del platter, che pare rubare i riff di Keith Richards in Start Me Up, come i riff elettrizzanti e grezzi degli AC/DC imperversano un po' su tutto il lavoro, da Peace Dog a Bad Fun, in cui ancor più evidente è l'influenza dei Golden Earring del periodo di Together e Moontan. Il rock/blues più arido di Aphrodisiac Jacket sembra riprendere invece la lezione di band come Cream e Free, mentre sembrano del tutto perdute le precedenti venature gothic/dark che tanto avevano contribuito alla buona riuscita dell'ottimo predecessore Love, per lasciare spazio a riff ruvidi e ritmiche potenti e più in generale ad un sound più pesante e rock.

Nonostante le varie influenze presenti, tuttavia Electric riesce a scalare le charts, tanto da aprire ad un tour in cui avevano come gruppo di spalla i giovani Guns N' Roses, e soprattutto ad essere un album diverso, che ha il merito principale di consegnare ai Cult un posto quasi isolato nell'ambito dell'hard rock ottantiano; infatti esso rappresenta uno dei pochi esempi in cui l'hard rock di quella decade esce dai propri delimitati confini, abbandonando quella coerenza che non troppo tempo dopo lo avrebbe condotto a rinchiudersi su sé stesso, per schiudersi invece verso soluzioni in grado di rompere con la propria impermeabilità, consegnando in tal modo un diverso esempio di hard rock, che come anticipato sopra avrebbe poi aperto nuove vie per una nuova riproposta del genere nei prossimi anni.


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