Voto: 
7.4 / 10
Autore: 
Salvo Sciumè
Genere: 
Etichetta: 
Beggars Banquet
Anno: 
1984
Line-Up: 

- Ian Astbury - voce
- Billy Duffy - chitarra
- Nigel Preston - batteria, percussioni
- Jamie Stewart - basso, backing vocals

Tracklist: 

1. Horse Nation   
2. Spiritwalker   
3. 83rd Dream   
4. Butterflies   
5. Go West   
6. Gimmick   
7. A Flower In The Desert   
8. Dreamtime   
9. Rider In The Snow   
10. Bad Medicine Waltz
11. Bonebag  
12. Sea And Sky
13. Resurrection Joe

Cult, The

Dreamtime

Nel 1982 i Theatre Of Hate di Billy Duffy escono con Westworld, andandosi ad inquadrare in quel movimento dark che andava per la maggiore in quegli stessi anni, e solo un anno dopo si presenta il cantante Ian Astbury con il primo omonimo album dei Southern Death Cult, che non riscosse però molto successo. Questi album, nonostante siano poco conosciuti, diedero comunque il loro decisivo contributo allo sviluppo della corrente goth/dark e post-punk di quegli anni, ed ancor di più questo deve dirsi per Dreamtime, registrato nel Galles ed uscito nel 1984, quando ormai Astbury e Duffy si erano uniti ed avevano deciso di cambiare il nome della loro band nel più breve Death Cult e definitivamente nel più semplice Cult.
L'esordio della formazione inglese infatti è da considerare uno dei primi (certo non primissimi) esempi di gothic rock, ed anche il bacino di utenza a cui era diretto il prodotto era quello del dark e del post-punk, non certo quello dell'hard n' heavy, in cui ben presto i Cult andarono a confluire fin dal successivo Love. Del resto non è un mistero che questi lavori furono un punto obbligato di passaggio per gruppi come Sisters Of Mercy e soprattutto Mission, il cui esordio God's Own Medicine del 1987 molto deve a quest'album, anche se è possibile estendere la sua importanza ad altri gruppi europei e d'oltreoceano.

Dreamtime in pratica rappresentava tutto ciò che i Cult erano stati fino a quel momento, ma al contempo lasciava facilmente intuire ciò che sarebbero diventati subito dopo, un mix di sonorità che alla loro base dark fondeva il misticismo dei Doors, l'impeto dei Sex Pistols, la passionalità dei Led Zeppelin; infatti pur mantenendo quell'infarinatura gothic/dark degli esordi e gli evidenti riferimenti alla cultura e alla storia dei nativi americani (Moya o Apache sono solo alcuni dei brani contenuti in Southern Death Cult), il loro sound si mostrò subito più energico, travolgente e melodico, per merito soprattutto di chitarrismi decisamente hard n' heavy, ritmiche tribali e liriche mistiche, che ancor di più si andavano a sposare alle tematiche liriche spesso incentrate sugli indiani d'America.
Il mistico e passionale sciamanesimo di Astbury trovava libero sfogo, oltre che nell'immagine, nei testi e nelle tematiche, anche nei vocalismi enfatici e drammatici, con cui si rendeva più epico ed intimista quel mood gotico della band, proprio allo scopo di rimodellarlo alla cultura e allo spiritualismo tipici delle tribù indiane.

Spiritwalker, singolo che lanciava l'album, è il brano che più probabilmente rappresenta l'opera prima dei Cult, con il suo dark-rock dirompente e melodico intriso di un'enfasi e di una spiritualità che si rifanno, manco a dirlo, allo sciamanesimo di Astbury, ma anche l'opener Horse Nation, le cui liriche sono tratte dall'opera "Bury My Heart at Wounded Knee" di Dee Brown, mostra lo sconfinato interesse del singer canadese verso questo argomento, mentre il brano si caratterizza per il cantato sommesso ed enfatico, il percussionismo tribale ed un guitar-work volutamente particolare, quasi molesto ed irritante. Notevole successo ebbero anche Go West, secondo singolo estratto, che lascia intravedere la prossima direzione hard rock, la ballata Bad Medicine Waltz, oscura, tesa ed epica, capace di rievocare le aride e ventose distese nordamericane, e Dreamtime, cavalcata solenne e scura ispirata alla cultura e alle credenze degli Aborigeni Australiani.
La bella 83rd Dream, ancora cantata in tono basso e quasi sommesso da Astbury e caratterizzata da quel percussionismo tribale che avrebbe in seguito influenzato anche gli iberici Heroes Del Silencio, era un altro buon pezzo legato al movimento dark di quel periodo, particolarmente efficace ed evocativo, Gimmick riponeva la sua peculiarità nei brevi inserti orientaleggianti, Butterflies rievocava la cerimonia della danza propiziatrice della farfalla della tribù degli Hopi, residente nelle zone sud-occidentale degli Stati Uniti e di cui ancora oggi esistono piccoli gruppi, invece A Flower In The Desert era ripresa e ri-arrangiata da Southern Death Cult dove si intitolava Flowers In The Forest, perdendo la sua carica punk ma divenendo più enfatica, coinvolgente ed emozionante.

Dreamtime, pur senza troppi clamori e senza tuttavia rappresentare un capolavoro, ebbe la sua discreta importanza nell'affermazione delle varie correnti dark e gothic. L'ambiente del rock invece si dimentica presto di questa release, forse a causa anche della mancanza di vere e proprie hit in grado di farla ricordare sul lungo periodo, ma di certo i Cult, senza puntare sull'originalità ma al contrario su diverse fonti di influenza e ispirazione, hanno giocato un ruolo decisivo in ambito dark, come pochi anni più tardi lo avranno nell'affermazione dello street.


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