Justin Greaves (batteria, effetti synth, banjo)
Joe Volk (voce, chitarra acustica)
Dominie Aitchison (basso, effetti)
Kostas Penagiotou (tastiere, piano)
Charlotte Nichulls (violoncello, voce)
1. Burnt Reynolds
2. Rise Up and Fight
3. Time of Ye Life / Born for Nothing / Pranoid Arm and Narcopletic Empire
4. Wendigo
5. Littlestep
6. Crossing the Bar
7. Whissendine
8. A Real Bronx Cheer
9. 444
10. A Hym for a Lost Soul
11. A Lack of Common Sense
12. I Am Free Today I Perished
200 Tons of Bad Luck
In poco meno di quattro anni i Crippled Black Phoenix hanno registrato quattro album: A Love of Shared Disaster del 2006, 200 Tons of Bad Luck del 2009, The Resurrectionists/Night Raider (un doppio disc box set comprendente i pezzi del disco del 2009 con diverse e nuove bonus tracks) e I, Vigilante, il capolavoro del 2010.
I Crippled Black Phoenix sono il risultato di disparate esperienze artistiche: "contaminazione" è il sostantivo che meglio inquadra questa band. Basti pensare sia al fondatore, Justin Greaves, storico ed accattivante batterista degli Electric Wizard (titani del doom e dello stoner made in UK), sia al bassista Dominic Atchinson, nonché pioniere delle melodie post-rock degli scozzesi Mogwai, sia a Joe Volk, cantautore folk, militante nel gruppo heavy rock Gonga; il tutto diretto dal genio di Geoff Barrow, responsabile dell'etichetta discografica Invada e, soprattutto, produttore e strumentista dei Potishead.
I CBP nascono dalle ceneri degli Iron Monkey, gruppo sludge metal, attivi dalla seconda metà degli anni '90 e sono spesso associati ai Karate, da Bristol, impegnati nel post-hardcore e nell'alternative rock sound. Insomma, uno “zibaldone” di suoni, di generi e di background musicali differenti che si incontrano,quasi scettici tra di loro, per svelare esiti artistici sempre più rarefatti ed unici.
Il disco si sviluppa in 12 brani in cui aleggiano atmosfere a volte cupe, altre nostalgiche e altre folk con sapienti ed inquietanti incursioni di voci e rumori di ambienti con uso di archi e cori che descrivono scene epiche, medioevali, trionfanti, invocanti inni rabbiosi o deliranti ballate. Una particolarità riscontrabile e sviluppata in tutto il cd è l'incommensurabile ripresa nonché omaggio agli immortali Pink Floyd, subito evidente con decisione fin dalle prime canzoni.
Burnt Reynolds è un blues aggressivo che rimanda a un prog-rock moderno e delicato, Rise Up and Fight, seconda canzone, carica di groove, dà l'impressione surreale di rievocare l'introduzione di One of these days dei sempre imperituri Waters e Gilmour. Emozioni psico-tribali scandite da uno scatto di banjo che litiga con vittoriosi hard blues sono offerti da Time of Ye life/ Born for nothing / Paranoid Arm of Narcopletic Empire, insaziabile suite strumentale di diciotto minuti che, grazie a continui bombardamenti di doom, prog e psichedelia, ci proietta nella Pigs ( Animal 1977) dei Pink Floyd e nel repertorio artistico dei Neutral Milk Hotel, rock band statunitense dalla Lousiana.
Wendigo è un avvolgente tappeto di tradizionali suoni celtici e folk, Littlestep è una ballata intesa e dolce a cui segue Crossing the Bar che accosta un'interessante e solare linea di chitarra acustica e di violoncello poggiando su una coinvolgente ritmica industriale che si interrompe bruscamente al minuto 1:51 con una snervante successione cruda di pianoforte. 444 è forse il brano più incisivo e più grintoso dell'intero album, un martellante doom-rock pulito coronato da una voce sottile, delicata ma decisa; non è forse casuale che questo sia accompagnato all'inizio da A Real Bronx Cheer e infine da A Hymn for a Lost Soul, sottoforma di canto popolare-religioso, quasi a voler bilanciare la carica di 444, in perfetta linea con il banchetto allegorico della copertina del cd.
Infine I'm free Today I Perished, brano di chisura, è un viaggio malinconico di sei minuti prettamente post-rockeggiante che rimanda alle atmosfere candide e pacate dei Mogwai con un sottile anelito dei mistici e profondi Godspeed you! Black Emperor tra effetti fluttuanti e delays orchestrali accompagnati del violoncello.
É difficile dare un giudizio oggettivo a 200 Tons of Bad Luck proprio per il suo carattere imprevedibile e per la sua indefinzitezza musicale. Sopravvivono ora sfiorandosi, ora allontanandosi melodie ed esiti inclassificabili in un solo genere: ogni singolo brano ha un suo preciso significato che presuppone un'attenta meticolosità di organizzazione, come un perfetto puzzle che chiude un percorso essenziale gospel di aspetto moderno e che riscopre ogni gamma del rock da quello più sperimentale e virtuoisistico alle sane radici dei Pink Floyd. “La fenice nera azzoppata” è pronta per spiccare il volo, come sarà, verso cieli incontaminati e carichi di sprezzanti suoni impegnativi.