:
- Elizabeth Fraser – voce
- Robin Guthrie – chitarra
- Simon Raymonde – batteria, percussioni
:
1. Ivo
2. Lorelei
3. Beatrix
4. Persephone
5. Pandora
6. Amelia
7. Aloysius
8. Cicely
9. Otterley
10. Donimo
Treasure
Erano passati ormai quattro anni da quell’oscuro 1980, in cui Elizabeth Frazer, nella casa natale di Grangemouth, accettò con entusiasmo e senza troppe pretese di prendere parte a un progetto musicale con Robin Guthrie – futuro marito – e l’amico di lui Will Heggie. Lei aveva da poco assistito al sorgere di una stella, Susan Janet Dallion (in arte Siouxsie); una stella che lei ammirava tantissimo e che influenzò molto gli albori dei nascenti Cocteau Twins. Da qui però i primi lavori di Garlands (1982) e Head Over Heels (1983), che valsero un grandioso esordio in forze alla leggendaria 4AD, sottolinearono subito come la band scozzese stesse riuscendo progressivamente a tessere un linguaggio del tutto nuovo. Una musica celestiale mai sentita, che mischiava le spumeggianti linee di basso post-punk, imperiose nel periodo, a un approccio intimo e particolarmente onirico che trovò la completa teorizzazione e messa a punto proprio in Treasure (1984), terzo di una trilogia che rivoluzionò capillarmente il modo di concepire il goth rock. Di qui la band 4ADiana riuscì con classe sopraffina ad allontanarsi dai riflettori al neon del post-punk dei Banshees, dal cabaret dei Bauhaus e da tutta l’ondata batcave londinese.
Complice nell’ardua operazione fu senz’altro l’etichetta londinese che fin dall’apertura nel 1980 cercò, con risultati ancora oggi sorprendenti, di conferire un tocco intellettuale alla musica da lei prodotta. E’ grazie a questa mentalità che nello stesso periodo vennero scovati Modern English, Dead Can Dance, The Birthday Party, Clan Of Xymox, Xmal Deutschland. Con un’organizzazione progressista e lungimirante alle spalle dunque, i Cocteau Twins con Treasure diedero vita a un piccolo, meraviglioso gioiello di quaranta minuti, dove al posto di pietre preziose, brillano una gamma eterea e trascendentale di suoni e sfumature. Un concentrato favolistico di magia ed esoterismo, un viaggio sentimentale catartico e assolutamente affascinante; dominato dalla voce eterea e ineguagliabile della Frazer, l’ascoltatore viene avvolto dai ritmi lenti e vorticosi di quello che sarebbe stato etichettato poco dopo dream-pop. Prima una serenata romantica ed evanescente in Ivo – avvolta nel mistero è la genealogia del titolo: Elizabeth Frazer canta “Peeb-Bo” (titolo originale del brano) in un modo che causò la variazione “ee-vo”; da qui il collegamento (a quanto pare infondato) con Ivo Watts-Russell, padre della 4AD –. Poi l’elettrizzante e sentimentale Lorelei prepara il terreno alle sonorità orientali e terribilmente malinconiche di Beatrix. Tutti nomi propri che sanciscono un bombardamento continuo di classici senza tempo o macchia. Lontani, intoccabili, i brani della band scozzese, trainati dai celestiali effetti vocali della Frazer , si incastonano in un empireo di bagliori e arpeggi.
Si torna sulla terra giusto per godere della tragicità di Persephone, dell’eclettismo vocale della vocalist, di linea melodiche screziate e di ritmiche calibrate con il contagocce dal percussionista, neo-acquisto, Simon Raymonde. Ma l’album non ha ancora toccato la metà: è ora del madrigale strappalacrime, Pandora, dei cori penetranti di Amelia e, a consacrare le mirabili abilità liriche, nonché vocali, della cantante, del capolavoro Cicely. Classici piovono a dirotto dunque, in una successione, forse senza precedenti, di brani indimenticabili.
Raramente è capitato di incontrare nel panorama musicale un album di pari intensità. Raramente è capitato di incontrare una band capace di reinventare un genere musicale nel giro di due anni. Dai fumi allucinogeni della darkwave, ai vortici vocali e alle schegge melodiche del dream-pop: questo fu l’inestimabile tesoro dei Cocteau Twins.